Chi era Aileen Wuornos?

Da un'infanzia di abusi terrificanti a una furia omicida lungo le autostrade della Florida, la storia definitiva della donna che è diventata la serial killer più famigerata d'America.

Penelope H. Fritz
Penelope H. Fritz
Penelope H. Fritz è una scrittrice altamente qualificata e professionale, con un talento innato nel catturare l'essenza degli individui attraverso i suoi profili e le sue...
Aileen Wuornos

Alla fine del 1989, un fantasma iniziò a infestare le assolate autostrade della Florida centrale. Il primo indizio fu un’auto abbandonata. Poi, giorni dopo, un corpo, scoperto per caso in un’area boschiva a chilometri di distanza. La vittima era Richard Mallory, un 51enne proprietario di un negozio di elettronica, ucciso da diversi colpi di pistola. Nei dodici mesi successivi, il fantasma colpì ancora e ancora. I corpi di uomini bianchi di mezza età iniziarono a comparire con una regolarità agghiacciante tra la macchia e le remote strade forestali che costeggiano l’interstatale.

Lo schema era tanto chiaro quanto terrificante. Le vittime erano tutti automobilisti di sesso maschile, con le tasche svuotate e le auto rubate. Ognuno era stato ucciso con una pistola di piccolo calibro. Mentre il numero delle vittime aumentava — David Spears, Charles Carskaddon, Troy Burress e altri — le forze dell’ordine di diverse contee si resero conto di dare la caccia a un unico predatore. Il caso sconcertò gli investigatori, ma furono i media a lanciare la teoria più scioccante di tutte: l’assassino poteva essere una donna.

L’idea era una profonda violazione degli archetipi criminali. L’omicidio seriale era dominio degli uomini, un’espressione brutale di violenza predatoria che la società aveva connotato come maschile. Una killer donna sulle autostrade era quasi impensabile, una narrazione così trasgressiva da catturare immediatamente l’immaginazione del pubblico. La stampa, intuendo il potente fascino della storia, battezzò l’aggressore sconosciuto con soprannomi tanto seducenti quanto terrificanti: la “Damigella della Morte”. Prima ancora di avere un nome, l’assassina veniva inquadrata non semplicemente come un’omicida, ma come un’aberrazione della natura, una donna che uccideva come un uomo. Questa lente di genere avrebbe definito l’intera saga, trasformando una squallida serie di omicidi lungo la strada in un referendum nazionale sulla natura della violenza femminile. L’opinione pubblica non era solo inorridita dai crimini; era inorridita dal genere dell’autore. Il mostro a cui davano la caccia non era solo un assassino, ma una donna che aveva fondamentalmente infranto le regole.

Forgiata nel dolore: la creazione di un’assassina

La donna che sarebbe diventata la “Damigella della Morte” nacque come Aileen Carol Pittman il 29 febbraio 1956 a Rochester, Michigan, una bambina di anno bisestile venuta al mondo in un universo privo di stabilità. La sua vita iniziò tra le macerie delle vite dei suoi genitori. Sua madre, Diane Wuornos, aveva solo 14 anni quando sposò il padre di Aileen, Leo Pittman. Il matrimonio si sciolse prima della nascita di Aileen. Non avrebbe mai conosciuto suo padre; uno schizofrenico con una storia di abusi su minori, fu incarcerato per aver rapito e violentato una bambina di sette anni. Nel 1969, si impiccò nella sua cella.

Nel gennaio 1960, quando Aileen aveva quasi quattro anni, sua madre adolescente abbandonò lei e suo fratello maggiore, Keith. I bambini furono lasciati ai nonni materni, Lauri e Britta Wuornos, che li adottarono legalmente il 18 marzo 1960. La verità sulla loro parentela fu tenuta segreta, una menzogna fondamentale che fratturò il senso di identità di Aileen quando finalmente scoprì, intorno ai 10 anni, che le persone che chiamava genitori erano in realtà i suoi nonni.

La casa dei Wuornos non fu un santuario, ma un crogiolo di abusi. Sia Lauri che Britta erano alcolisti. Lauri, un uomo dalla disciplina ferrea, sottopose Aileen a una campagna implacabile di abusi fisici, emotivi e, secondo il suo racconto, sessuali. Aileen affermò che lui la costringeva a spogliarsi prima di picchiarla. In questo ambiente tossico, i confini si dissolsero completamente; Aileen ebbe anche rapporti sessuali con suo fratello, Keith. A 11 anni, aveva imparato che il sesso era una valuta, scambiando favori sessuali a scuola per sigarette, droga e cibo. Questa precoce visione transazionale dell’intimità divenne un meccanismo di sopravvivenza fondamentale, appreso in una casa dove il suo corpo era già un campo di battaglia.

A 14 anni, la sua vita precipitò ulteriormente nel caos. Dopo essere stata violentata da un amico di suo nonno, rimase incinta. Lauri la mandò in un istituto per ragazze madri a Detroit e, nel marzo 1971, diede alla luce un figlio che fu immediatamente dato in adozione. Il trauma fu aggravato da un lutto; pochi mesi dopo, sua nonna Britta morì di insufficienza epatica. Senza la nonna, la crudeltà del nonno divenne insopportabile. A 15 anni, lui la cacciò di casa. Aileen Wuornos, un’adolescente forgiata dalla distruzione sistematica di ogni pilastro di una vita stabile — legami genitoriali, sicurezza fisica, autonomia sessuale e un tetto — era ora una senzatetto, che viveva nei boschi vicino alla casa dove non era mai stata al sicuro. Il mostro non è nato; è stato meticolosamente e brutalmente creato.

Vagabonda, rapinatrice, sposa: un decennio di caos

Cacciata e completamente sola, Aileen Wuornos divenne un fantasma nel paesaggio americano. Per il decennio successivo, vagò facendo l’autostop attraverso il paese e sopravvivendo grazie alla prostituzione. Utilizzò una serie di pseudonimi — Sandra Kretsch, Susan Blahovec, Lori Grody — ogni nome una maschera per un’identità frammentata. La sua vita era un susseguirsi confuso di aree di sosta per camion, motel economici e incontri violenti con clienti che, a suo dire, spesso la picchiavano e la violentavano.

Nel 1976, un capitolo bizzarro offrì un fugace scorcio di una vita diversa. Mentre faceva l’autostop in Florida, la ventenne Wuornos incontrò Lewis Gratz Fell, un presidente di yacht club di 69 anni. Si sposarono nel maggio 1976, e le loro nozze apparvero persino nelle pagine di cronaca mondana locale. Ma l’unione fu la collisione di due mondi inconciliabili. Il carattere esplosivo e il passato traumatico di Wuornos erano incompatibili con l’esistenza compassata e agiata di Fell. Il matrimonio implose in poche settimane tra accuse di violenza; Fell affermò che lei lo aveva picchiato con il suo stesso bastone e ottenne rapidamente un’ordinanza restrittiva prima che il loro matrimonio fosse annullato nel luglio 1976.

Il matrimonio fallito fu il preludio a una costante escalation del suo comportamento criminale. La sua fedina penale si allungò, riflettendo una vita di crescente disperazione e violenza. Nel 1974, a 18 anni, fu arrestata in Colorado per guida in stato di ebbrezza, disturbo della quiete pubblica e per aver sparato con una pistola calibro.22 da un veicolo in movimento. Due anni dopo, di nuovo in Michigan, fu incarcerata per aggressione dopo aver lanciato una palla da biliardo alla testa di un barista. La sua fedina si arricchì di reati come falsificazione, furto d’auto e resistenza all’arresto.

Un punto di svolta critico arrivò nel maggio 1981, quando fu arrestata a Edgewater, in Florida, per la rapina a mano armata di un minimarket. Rubò solo 35 dollari e due pacchetti di sigarette, ma il crimine rappresentò un’escalation significativa. Per la prima volta, aveva usato la minaccia della forza letale per un guadagno economico. Fu condannata al carcere e scontò poco più di un anno, da maggio 1982 a giugno 1983. Questa condanna fu un chiaro precursore dei suoi crimini successivi, contenendo i due elementi fondamentali del suo eventuale modus operandi: la rapina e l’uso di un’arma. La sua vita non era quella di una vittima che improvvisamente era scattata, ma quella di una criminale di carriera i cui metodi stavano diventando progressivamente più violenti.

Un amore pericoloso: gli anni di Tyria Moore

Nel giugno 1986, in un bar gay di Daytona Beach chiamato Zodiac, Aileen Wuornos trovò l’unica cosa che le era sfuggita per tutta la vita: l’amore. Facendosi chiamare “Lee”, la vagabonda trentenne incontrò Tyria Moore, una cameriera di motel di 24 anni. Iniziarono una relazione intensa e totalizzante che sarebbe durata per i successivi quattro anni e mezzo. Per Wuornos, Moore divenne il centro del suo universo, la prima persona che sentiva di averla mai amata veramente. “Era un amore oltre ogni immaginazione”, avrebbe poi dichiarato al processo.

Costruirono una vita insieme, spostandosi tra motel economici e appartamenti. Moore lavorava come addetta alle pulizie mentre Wuornos le manteneva entrambe con i guadagni della prostituzione sulle autostrade. La relazione, tuttavia, era carica della stessa volatilità che definiva il carattere di Wuornos. Era intensamente possessiva, odiava quando Moore andava al lavoro o interagiva con altri. Per la prima volta, Wuornos aveva un simulacro della famiglia che desiderava, e vi si aggrappò con una ferocia disperata.

Questa relazione divenne la forza stabilizzatrice che, paradossalmente, permise il caos degli omicidi. La necessità di provvedere a Moore, di mantenere la loro vita insieme, amplificò la disperazione finanziaria di Wuornos. Le rapine divennero più di un semplice mezzo per la propria sopravvivenza; erano un modo per sostenere il legame emotivo più importante della sua vita. Nella sua mente, i crimini che stava per commettere erano inestricabilmente legati al suo amore per Tyria Moore.

Con il passare dei mesi, mentre Wuornos iniziava a tornare dai suoi “appuntamenti” con le auto e le proprietà delle vittime da impegnare, Moore divenne sospettosa. La tensione tra loro aumentò. Moore non era solo un’amante; era una testimone. Questo amore pericoloso, l’unica ancora emotiva nella vita adulta di Wuornos, stava per diventare la causa stessa della sua rovina.

L’anno di sangue: uno dopo l’altro

La scia di omicidi iniziò nell’ultimo mese del 1989 e continuò per un anno intero. Fingendosi una prostituta autostoppista, Aileen Wuornos attirò sette uomini verso la morte, lasciando una scia di corpi sparsi lungo le strade secondarie boscose del nord e del centro della Florida. Sebbene la rapina fosse il movente costante, la violenza di ogni incontro variava, suggerendo una serie di eventi complessi e instabili.

Il primo a morire fu Richard Mallory, un 51enne proprietario di un negozio di elettronica di Clearwater. Fu visto per l’ultima volta il 30 novembre 1989. Il suo corpo fu trovato due settimane dopo, il 13 dicembre, con diversi colpi di pistola al petto. Wuornos avrebbe poi affermato che l’uomo l’aveva brutalmente violentata, un’affermazione che sarebbe diventata il fulcro della sua difesa legale.

Gli omicidi ripresero nella primavera del 1990. Il 1° giugno, il corpo nudo di David Spears, un operaio edile di 43 anni, fu scoperto nella contea di Citrus. Era stato colpito sei volte al torso. Pochi giorni dopo, il 6 giugno, i resti di Charles Carskaddon, un lavoratore di rodeo part-time di 40 anni, furono trovati nella contea di Pasco. Era stato colpito nove volte al petto e allo stomaco, un livello di violenza che suggeriva un attacco frenetico e rabbioso.

Nello stesso mese, Peter Siems, un marinaio mercantile in pensione e missionario di 65 anni, scomparve mentre guidava dalla Florida all’Arkansas. La sua auto fu trovata abbandonata il 4 luglio, ma il suo corpo non fu mai recuperato. Divenne il fantasma tra le vittime di Wuornos.

Il 4 agosto, il corpo di Troy Burress, un venditore di salsicce di 50 anni, fu trovato nella contea di Marion. Era stato colpito due volte. Il mese successivo, il 12 settembre, le autorità scoprirono il corpo di Charles “Dick” Humphreys, un ex capo della polizia e investigatore di abusi su minori di 56 anni. Fu trovato completamente vestito, con diversi colpi di pistola alla testa e al torso.

L’ultima vittima fu Walter Antonio, un camionista e agente di polizia di riserva di 62 anni. Il suo corpo parzialmente svestito fu trovato in una zona remota della contea di Dixie il 19 novembre 1990. Era stato colpito quattro volte alla schiena e alla testa. Con la sua morte, l’anno di sangue giunse al termine.

La rete si stringe: impronte digitali e il tradimento di un’amante

Mentre il numero delle vittime aumentava, una task force multi-agenzia si affannava a collegare i punti. La svolta non arrivò da una singola deduzione brillante, ma dalla negligenza stessa dell’assassina. Wuornos aveva impegnato oggetti rubati alle sue vittime — macchine fotografiche, attrezzi, pistole — usando vari pseudonimi. Un’impronta digitale lasciata su una ricevuta di un banco dei pegni per uno degli oggetti di Richard Mallory fornì agli investigatori il loro primo indizio solido.

La seconda prova cruciale provenne dall’auto di Peter Siems, la vittima il cui corpo non fu mai trovato. Il 4 luglio 1990, Wuornos e Tyria Moore furono coinvolte in un piccolo incidente stradale mentre guidavano il veicolo di Siems. Abbandonarono l’auto e fuggirono. I testimoni fornirono alla polizia una descrizione di due donne, e un’impronta palmare prelevata dalla maniglia interna della portiera dell’auto fu successivamente abbinata a Aileen Wuornos, le cui impronte erano già nel database statale a causa della sua vasta fedina penale. Il fantasma aveva ora un nome.

La rete si strinse. Il 9 gennaio 1991, la polizia arrestò Wuornos al The Last Resort, un famigerato bar di motociclisti a Port Orange, in Florida. L’arresto fu effettuato con il pretesto di un mandato di cattura pendente, una fine silenziosa per un anno di violenza molto rumoroso.

Con Wuornos in custodia, gli investigatori rivolsero la loro attenzione alla persona che sapevano essere il suo punto debole: Tyria Moore. La rintracciarono in Pennsylvania, dove era fuggita diventando sempre più timorosa delle attività di Wuornos. La polizia fece a Moore un’offerta che non poteva rifiutare: collabora e aiutali a ottenere una confessione, e riceverai l’immunità dall’accusa. Moore accettò. In una serie di telefonate registrate, implorò Wuornos di confessare per proteggerla. Fu una tattica psicologica devastantemente efficace. Credendo di salvare la donna che amava, Wuornos ammise gli omicidi in una chiamata a Moore. La sua confessione non fu una fredda dichiarazione legale alla polizia; fu un appello disperato ed emotivo alla sua amante, un ultimo, fuorviato atto d’amore che segnò il suo destino.

Processo e condanna: lo Stato contro Aileen Wuornos

Il processo capitale di Aileen Wuornos iniziò il 13 gennaio 1992 e fu uno spettacolo fin dall’inizio. Fu processata prima per l’omicidio di Richard Mallory, l’unico dei sette omicidi che sarebbe stato completamente dibattuto davanti a una giuria. L’accusa, guidata dal procuratore di Stato John Tanner, si basava quasi interamente sulla confessione videoregistrata della stessa Wuornos, in cui ammetteva la sparatoria e la rapina.

La sua difesa, guidata dall’avvocato d’ufficio Tricia Jenkins, si basava su un’unica, esplosiva affermazione: legittima difesa. Salendo sul banco dei testimoni contro il parere del suo avvocato, Wuornos testimoniò che Mallory, lungi dall’essere una vittima innocente, era stato un mostro sadico che l’aveva brutalmente picchiata, soffocata e violentata. La sua performance sul banco dei testimoni fu un disastro. Volatile, arrabbiata e profana, non apparve come una vittima traumatizzata, ma come un’assassina furiosa. Durante il controinterrogatorio, divenne agitata e invocò il suo diritto a non autoincriminarsi (il Quinto Emendamento) per venticinque volte, distruggendo di fatto la sua credibilità.

La difesa subì un colpo fatale quando il giudice si rifiutò di ammettere come prova il fatto che Richard Mallory avesse scontato 10 anni di prigione per una violenta stupro. Questa informazione cruciale, che avrebbe dato un peso significativo alla storia di Wuornos, fu ritenuta inammissibile. Senza di essa, la sua affermazione sembrava una disperata invenzione. La giuria deliberò per meno di due ore prima di dichiararla colpevole di omicidio di primo grado e rapina il 27 gennaio 1992. Alla lettura del verdetto, Wuornos esplose, urlando alla giuria: “Sono stata violentata! Spero che vi violentino. Feccia d’America!”.

Durante la fase di determinazione della pena, la giuria valutò cinque circostanze aggravanti presentate dall’accusa — tra cui il fatto che l’omicidio fosse stato commesso durante una rapina e fosse “efferato, atroce o crudele” — contro le prove attenuanti dell’infanzia traumatica di Wuornos e le diagnosi di disturbo borderline e antisociale di personalità. Raccomandarono all’unanimità la morte, e il 31 gennaio 1992 fu condannata.

Il processo Mallory creò una narrazione irreversibile. Convinta che il sistema fosse truccato contro di lei, Wuornos capitolò. Su consiglio di un nuovo e inexperto avvocato, il 31 marzo 1992, presentò una serie di dichiarazioni di “no contest” (non opposizione) per gli omicidi di Dick Humphreys, Troy Burress e David Spears. In seguito si dichiarò colpevole degli omicidi di Charles Carskaddon e Walter Antonio. Ricevette una condanna a morte per ciascuno, portando il totale a sei. Nelle sue dichiarazioni, la sua storia continuò a evolversi. Sostenne fermamente che Mallory l’aveva violentata, ma ammise che gli altri uomini non l’avevano fatto, o avevano “solo iniziato a farlo”. Fu un ultimo, futile tentativo di salvare un pezzo della sua verità in una storia che non controllava più.

Il lungo addio: il braccio della morte e un bizzarro atto finale

Aileen Wuornos trascorse un decennio nel braccio della morte della Florida, un periodo segnato da relazioni bizzarre e un visibile declino mentale. Poco dopo la sua condanna, fu legalmente adottata da Arlene Pralle, una cristiana “rinata” che affermava che Gesù le aveva detto in sogno di aiutare Wuornos. La relazione alla fine si inasprì, con Wuornos che arrivò a credere che Pralle e il suo avvocato fossero interessati solo alla pubblicità e al denaro.

Attraverso lettere e interviste in prigione, il mondo ebbe un assaggio della sua mente in deterioramento. Il suo comportamento divenne sempre più irregolare. Licenziò diversi avvocati d’appello, convinta che facessero parte di una cospirazione contro di lei. Iniziò a esprimere convinzioni deliranti, sostenendo che la sua mente era controllata da “pressioni soniche” irradiate nella sua cella e che veniva torturata dal personale carcerario.

Nel 2001, in una svolta finale e scioccante, Wuornos decise di prendere il controllo del proprio destino. Ordinò ai suoi avvocati di ritirare tutti gli appelli rimanenti e si offrì volontariamente per l’esecuzione. “Ucciderei di nuovo”, disse alla corte. “Ho l’odio che mi scorre nel sistema”. La sua decisione scatenò una battaglia legale sulla sua competenza. Era abbastanza sana di mente da scegliere la morte? Dopo una valutazione da parte di tre psichiatri nominati dallo stato, il governatore della Florida Jeb Bush la dichiarò mentalmente competente, revocando l’ultima sospensione dell’esecuzione.

La mattina del 9 ottobre 2002, Aileen Wuornos fu giustiziata tramite iniezione letale. Aveva 46 anni. Il suo atto finale fu una performance di sfida che assicurò che non sarebbe stata dimenticata. Le sue ultime parole riportate furono una strana profezia intrisa di fantascienza: “Vorrei solo dire che sto navigando con la Roccia, e tornerò. Come in Independence Day con Gesù, il 6 giugno, come nel film, la grande nave madre e tutto il resto. Tornerò”. Fu l’affermazione definitiva di controllo in una vita in cui non ne aveva avuto nessuno. Scrivendo il suo bizzarro finale, strappò la sua narrazione al sistema che l’aveva condannata e cementò il suo posto nella tradizione del true crime.

Il mito di Wuornos: un’autopsia culturale

L’eredità di Aileen Wuornos è un campo di battaglia di narrazioni contrastanti. Dal momento della sua cattura, i media le affibbiarono l’etichetta imprecisa ma potente di “prima serial killer donna d’America”. Questa definizione la distinse immediatamente, trasformandola da una criminale comune in un fenomeno culturale e scatenando un dibattito nazionale sull’intersezione tra genere e violenza.

La sua storia divenne terreno fertile per i registi. Il primo a offrire un ritratto complesso fu il documentarista britannico Nick Broomfield. I suoi due film, Aileen Wuornos: The Selling of a Serial Killer (1992) e Aileen: Life and Death of a Serial Killer (2003), la ritrassero come una vittima profondamente danneggiata da abusi infantili, il cui caso fu sfruttato da media sensazionalistici e da un team legale discutibile. Il lavoro di Broomfield complicò la semplice narrazione del “mostro”, suggerendo che Wuornos fosse anche una martire di un sistema fallato.

Questa prospettiva più sfumata fu catapultata nel mainstream con il film del 2003 Monster. In una performance trasformativa e vincitrice di un Premio Oscar, l’attrice Charlize Theron scomparve nel ruolo, catturando la rabbia, la vulnerabilità e la disperazione di Wuornos. Il film si concentrò sulla sua tragica storia d’amore con Tyria Moore e inquadrò il primo omicidio come un atto di legittima difesa che la fece precipitare in un’ulteriore spirale di violenza. Monster umanizzò Aileen Wuornos per un pubblico globale, cementando l’aspetto di “vittima” della sua identità e rendendo la sua storia una tragedia moderna.

Alla fine, Aileen Wuornos rimane un paradosso inquietante. Era sia una predatrice brutale che uccise sette uomini, sia una sopravvissuta profondamente danneggiata da un trauma inimmaginabile. La sua storia perdura non perché offra risposte facili sul bene e sul male, ma perché ci costringe a confrontarci con domande scomode sulla natura ciclica della violenza, sulla fallibilità della giustizia e sui fallimenti sociali che permettono a un bambino di essere forgiato in un mostro. È diventata un caso di studio culturale, un simbolo attraverso il quale dibattiamo sulla pena di morte, sulla malattia mentale e sulla definizione stessa di mostruosità. La sua storia non è più solo sua; appartiene alla cultura che ne rimane infinitamente affascinata e inorridita.

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