Dalle saghe horror come Saw – L’enigmista, Insidious e l’universo di The Conjuring ai blockbuster da miliardo come Fast & Furious 7 e Aquaman, il regista-produttore ha ridefinito come si costruiscono brividi, sequel e universi narrativi che durano nel tempo.
La blueprint di carriera di un hitmaker cross-genere
James Wan è diventato, in meno di vent’anni, uno dei pochi autori capaci di passare con successo dall’horror indipendente al cinema d’azione su larga scala e poi tornare all’horror con idee fresche. Nato a Kuching, in Malesia, e cresciuto in Australia, Wan ha affinato molto presto una poetica precisa: creare meccanismi di suspense affidabili, con regole chiare per lo spettatore, e personaggi abbastanza forti da sostenere sequel e spin-off. A distinguere il suo percorso non è solo la capacità di spaventare, ma l’abilità (rarissima) di trasformare un film riuscito in una piattaforma replicabile: storie che si espandono in saghe, mondi che generano nuovi mondi.
Questa strategia si fonda su tre pilastri: idee visive riconoscibili (inquadrature-feticcio e transizioni coreografate), mitologia modulare (demoni, reliquie, “regni” e regole sovrannaturali che possono essere esplorati altrove) e produzione snella (budget contenuti nell’horror, controllo dei costi, massima resa produttiva sul set). È la combinazione che ha permesso a Wan di firmare o innescare alcuni dei franchise più redditizi degli anni Duemila, lasciando un’impronta sia come regista sia come produttore con la sua etichetta Atomic Monster.
Gli inizi: la trappola perfetta di Saw – L’enigmista
Il grande scatto arriva nel 2004 con Saw – L’enigmista, co-creato con l’amico e collaboratore di lunga data Leigh Whannell. Budget ridotto, ambientazione claustrofobica, un dispositivo narrativo semplice e letale: il “gioco” morale, con regole ferree, inflitto alle vittime dall’Enigmista. Wan struttura un thriller a incastro che usa il montaggio come lama e introduce un’estetica grunge-industriale che diventa signature del filone. Al di là dell’impatto al botteghino, Saw rivela subito il metodo: creare una regola narrativa replicabile (le prove, le cassette, la filosofia del carnefice) e un’icona antagonista capace di evolvere.
Dopo Saw, Wan esplora due direzioni complementari. Con Dead Silence (2007) riprende il topos della bambola maledetta e affina la grammatica del silenzio/urlo come strumento di paura; con Death Sentence (2007) saggia invece la vendetta urbana, testando regia d’azione fisica e controllo del ritmo in scenari non soprannaturali. Due esperimenti che preparano il salto successivo.
La casa infestata come laboratorio: Insidious e la nascita dell’“Altrove”
Nel 2010 Wan torna all’horror con Insidious, e il colpo, stavolta, è concettuale. La casa infestata cambia traiettoria: non è la dimora a essere posseduta, ma il figlio della famiglia Lambert, “aperto” a un’altra dimensione. L’idea dell’“Altrove” – un regno liminale con regole visive e sonore proprie – fornisce a Wan lo spazio per una regia “a coreografia di paura”: movimenti di macchina fluidi, tagli musicali secchi, fantasmatiche apparizioni in piena luce. La regola è chiara (più ci si spinge dentro l’Altrove, più si rischia di restare intrappolati), e dunque replicabile.
Con Oltre i confini del male – Insidious 2 (2013) Wan dimostra che l’architettura del primo film regge un sequel diretto: richiami a ritroso, loop temporali, approfondimenti dell’Altrove. E persino quando affida i capitoli successivi ad altri registi (Insidious 3 – L’inizio; Insidious – L’ultima chiave; Insidious – La porta rossa), la grammatica “waniana” rimane leggibile: paura come messa in scena di regole, non come accumulo indistinto di jump scare.
Dossier Warren: L’evocazione – The Conjuring e la costruzione di un universo
Nel 2013 Wan firma L’evocazione – The Conjuring e, insieme, inaugura il franchise più organico della sua carriera da produttore-architetto. La scommessa: riportare centralità ai protagonisti “umani” (Ed e Lorraine Warren), investigatori del paranormale, e alla procedura dell’indagine (indizi, oggetti, rituali), con una regia classica, elegante, che “fa respirare” la tensione prima di stringerla. L’impatto culturale è immediato: l’horror torna ad avere una coppia di eroi “positivi” riconoscibili, e ogni caso apre corridoi narrativi verso oggetti e spiriti “collegati”.
Il passo successivo, The Conjuring – Il caso Enfield (2016), consolida il brand e amplifica la mappa di collegamenti: il demone Valak, la suora, e la bambola Annabelle diventano vettori per spin-off e prequel. Ne derivano Annabelle (2014), Annabelle 2: Creation (2017) e Annabelle 3 (2019), oltre a The Nun – La vocazione del male (2018) e The Nun II (2023). La forza del “Conjuring-verse” è la coerenza del suo museo maledetto: ogni reliquia ha un’origine raccontabile, ogni apparizione una regola, ogni demone un’icona grafica potente. Anche quando altri registi subentrano, la linea estetica e il “codice operativo” restano chiari.
Regia d’azione: l’energia di Fast & Furious 7 e l’epica acquatica di Aquaman
Nel 2015 Wan dimostra che il suo controllo della messa in scena non si limita all’horror. Con Fast & Furious 7 (in Italia: Fast & Furious 7) eredita una saga-fenomeno in un momento delicatissimo e la porta a compimento con set-piece dirompenti, coreografie verticali (il salto da grattacielo a grattacielo) e una gestione emotiva del racconto che sfocia in un congedo diventato memoria collettiva. La sua regia orchestra caos e sentimento senza perdere il polso del ritmo.
Tre anni dopo, con Aquaman (2018), Wan applica la logica dei “mondi” all’universo DC: sette regni, bestiari marini, cromie sature e una camera in costante movimento. L’azione diventa balletto subacqueo, la tavolozza un fumetto che prende vita. Il sequel, Aquaman e il regno perduto (2023), conferma la sua vocazione world-building: espansione della geografia narrativa, nuovi antagonisti, un’estetica popolata di creature e civiltà che alimentano la sensazione di universo vivente.
Ritorno all’horror d’autore: Malignant e il piacere del rischio
Dopo i trionfi action-supereroistici, Wan rientra in territorio horror con Malignant (2021), titolo divisivo e, proprio per questo, rivelatore. È il film in cui l’autore si concede il massimo della libertà: un omaggio spudorato a certo cinema italiano e ai thrillers iper-stilizzati, con twist ardito, set-piece fisici e una messa in scena che alterna eleganza e sfrontatezza. Il messaggio implicito è chiaro: anche all’interno di un sistema di franchise, l’originalità radicale ha ancora spazio – se sostenuta da regia e idee.
Il produttore-architetto: Atomic Monster, Blumhouse e l’industria delle paure
Parallelamente al lavoro da regista, Wan ha costruito – film dopo film – un profilo da produttore che scopre e accompagna talenti, e che sa trasformare un cortometraggio virale in un successo mondiale. È il caso di Lights Out – Terrore nel buio (2016) di David F. Sandberg: dal corto alla sala, con un’idea semplice e fortissima (la creatura che esiste solo nel buio) amplificata da una produzione attenta alle soluzioni visive. È il caso, da un’altra angolazione, di La Llorona – Le lacrime del male (2019), tassello connettivo dell’universo Conjuring che consente a nuovi registi di muoversi dentro un perimetro estetico condiviso.
Con Atomic Monster, la sua etichetta, Wan ha perseguito una linea produttiva chiara: budget sotto controllo, high-concept immediati, registi con una firma visiva propria. La sinergia con Blumhouse – rafforzata da un accordo strategico – ha creato l’ecosistema ideale per progetti come M3GAN (2022), dove l’intuizione cultural-pop (una bambola di IA che “buca” i social) e la costruzione tradizionale della suspense convivono, o Night Swim (2024), che trasforma un’ambientazione quotidiana in minaccia persistente. La lezione industriale è trasparente: la paura è un linguaggio globale se la regola del gioco è limpida.
Firma registica: come lavora James Wan
Ciò che rende riconoscibile un film diretto da Wan non è un singolo “marchio” visivo, ma la compresenza di più scelte coerenti:
- La macchina da presa “coreografa” lo spazio: carrellate circolari, piani sequenza che attraversano mura e pavimenti, “spints” di zoom che fungono da accenti narrativi. Non è virtuosismo gratuito, è cartografia della paura: lo spettatore capisce dove si nasconde il pericolo.
- Il suono come arma: i silenzi sono “caricati”, le esplosioni sonore sono calibrate. Il jump scare non è un interruttore casuale, ma l’ultimo gradino di una rampa (musicale, visiva, emotiva).
- Icone e oggetti-reliquia: carillon, bambole, crocifissi, maschere. Non semplici props, ma “nodi” magnetici attorno a cui si tende la scena.
- Regole esplicite: l’“Altrove” ha le sue leggi, i demoni i loro “contratti”, persino l’azione ha coordinate leggibili. Rendere esplicite le regole aumenta la partecipazione: sappiamo cosa temere e perché.
- Empatia prima del terrore: famiglie, coppie, fratelli. Wan non disprezza il melodramma: lo usa per dare peso alla minaccia. Se teniamo ai personaggi, ogni scricchiolio conta di più.
Collaborazioni e continuità: il ruolo dei partner creativi
Il rapporto con Leigh Whannell – sceneggiatore, attore, poi regista – è uno dei fili rossi della prima fase: da Saw a Insidious, un dialogo creativo che ha definito il lessico del “paura-con-regole”. Con Patrick Wilson e Vera Farmiga (Warren) Wan ha costruito eroi dell’horror contemporaneo credibili e amati. Con i direttori della fotografia (da John R. Leonetti a Don Burgess, fino a Michael Burgess) ha calibrato una tavolozza che sa passare dal seppia gotico alla saturazione pop. E con i compositori – su tutti Joseph Bishara – ha costruito un paesaggio sonoro in cui le dissonanze “sono” parte della messa in scena.
Transito tra generi: cosa porta l’horror nell’action (e viceversa)
Il passaggio da Insidious e The Conjuring a Fast & Furious 7 e Aquaman non è un salto nel vuoto, ma trasferimento di competenze. Dall’horror arrivano il timing, la gestione millimetrica dell’attesa, il montaggio che “promette” e “mantiene”. Dall’action Wan riporta all’horror l’energia fisica delle scene madri e una fiducia rinnovata nel set-piece come evento (la stanza che ruota, il corridoio che si allunga, l’inquadratura che “sfonda” pareti e soffitti). È questa circolazione di tecniche a fare di Wan un regista “trasversale” e a chiarire perché la sua firma funzioni su scala globale.
La sostenibilità economica dei brividi
Una costante della traiettoria di Wan è l’attenzione ai rapporti costo/resa. L’horror, storicamente, permette margini ampi; ma il segreto non è solo spendere poco, è sapere dove spendere: nella progettazione delle scene chiave, negli effetti pratici che “reggono” in camera, nella post-produzione sonora. Con questa disciplina industriale, un’idea forte (una dimensione parallela, una suora demoniaca, una bambola di IA) diventa un asset che vive su più film, serie, esperienze immersive. È la logica del “catalogo di icone” che Atomic Monster e i partner hanno moltiplicato.
Spirito imprenditoriale e cura del talento
Wan ha anche fiuto per i registi da spingere al livello successivo: David F. Sandberg, ad esempio, passa dal cortometraggio a un successo mondiale; Michael Chaves trova nel Conjuring-verse un campo da gioco per affinare mestiere e identità; altri autori – dallo stesso Whannell a giovani cineasti – beneficiano di un ecosistema protetto in cui l’idea è incoraggiata se sta in piedi sul piano produttivo. Questa funzione di “mentore” è parte integrante dell’impatto di Wan sull’industria: non solo film firmati, ma pipeline che sforna nuove voci.
Perché le sue storie continuano a funzionare
Al netto dei gusti, i film “alla Wan” tornano a casa con qualcosa: un’immagine che non si scrolla di dosso (la suora in corridoio, il volto nel buio, la stanza sommersa), una regola ricordabile (“non spegnere la luce”, “non entrare oltre quella porta”), un personaggio riconoscibile (i Warren, un eroe riluttante, una famiglia che resiste). È un cinema di rituali, dove il pubblico impara il rito e attende di vederlo eseguito – o tradito – nel modo più sorprendente possibile. Questa alfabetizzazione della paura crea fedeltà e disponibilità a seguire il brand nei suoi rami.
Critiche, rischi e margini di crescita
Naturalmente, il successo del modello comporta un rischio di omogeneità: quando la formula si vede troppo, lo spettatore “sente” l’architettura e la sorpresa sfuma. Qualche sequel derivativo lo dimostra. Malignant, proprio perché spiazzante, segnala la volontà di non restare prigioniero del proprio manuale. Sul fronte dei grandi franchise, l’equilibrio tra visione autoriale e vincoli di brand è sempre delicato; ma la tenuta di Aquaman e l’eleganza muscolare di Fast & Furious 7 indicano che il dialogo con gli studios può essere virtuoso quando regia e produzione remano nella stessa direzione.
Cosa aspettarsi: le prossime paure (e le prossime mappe)
Alla luce della sinergia fra Atomic Monster e i partner storici, e dell’appetito del mercato per IP che combinino identità forte e costi misurati, è ragionevole attendersi da Wan e dal suo ecosistema nuovi high-concept orrorifici con potenziale transmediale, ma anche incursioni mirate in territori d’azione o fantastico quando il materiale lo richiede. Il tratto distintivo resterà la chiarezza delle regole e la volontà di ancorare l’eccezionale (demoni, dimensioni, creature) a relazioni umane che reggono la tensione.
Un sistema per la paura — e per lo spettacolo
Riassumendo: James Wan non ha solo firmato alcuni dei titoli più influenti degli ultimi vent’anni; ha costruito un sistema. Un sistema di regole del terrore, di coreografie di macchina da presa e di produzione “agile” che rende scalabili storie, personaggi e mondi. Dall’escape-room morale di Saw – L’enigmista al salotto infestato di Insidious, dal dossier dei Warren all’oceano iper-pop di Aquaman, Wan ha dimostrato che la coerenza non è il contrario della sorpresa: è il suo presupposto. Quando le regole sono limpide, ogni violazione fa più rumore. E il pubblico, al buio, non vede l’ora di sentirlo.