27/04/2024 - 09:02 EDT

In questa era digitale, il relativismo assume connotazioni nuove, spingendoci verso una concezione contemporanea di questa filosofia millenaria. Il relativismo, in poche parole, sostiene che la verità è soggettiva, variando da individuo a individuo, contrapposta alla visione oggettivista di una verità unica e universale.

Illuminati pensatori come Aristotele e Platone si sono cimentati nella ricerca della verità, una questione che continua ad essere dibattuta anche oggi, sebbene i mezzi attraverso cui la affrontiamo siano radicalmente cambiati. Ora, abbiamo computer e intelligenze artificiali (IA) che scandagliano l’esistenza alla ricerca della “verità”, in un universo dove coesistono teorie dei multiversi quantistici e progressi tecnologici che sorpassano gradualmente le capacità umane.

Non lasciatevi ingannare, signore, signori e vari robot pensanti: l’IA è già fra noi, elaborando dati a velocità inimmaginabili, grazie al Big Data. Le aziende raccolgono informazioni sul nostro comportamento, conducono profondi, seppur inquietanti, studi di marketing, alimentano l’IA di questi dati, al fine di modellare gusti e preferenze. Tutto ciò, dicono, per mostrarci pubblicità “salutari” e migliorare la nostra vita quotidiana. In questo scenario, i nostri antichi filosofi resterebbero stupefatti davanti a un tale relativismo guidato da sofisticati algoritmi.

Questo afflusso di Big Data e l’utilizzo dell’IA da parte delle aziende mira principalmente ad arricchirsi, una “verità” che si traduce in uno scopo di vita per loro. In un mondo dove la ricchezza determina il successo, umani afflitti da frustrazioni personali si trovano a competere con macchine capaci di elaborare milioni di dati al secondo. In questa corsa alla soluzione più efficiente per incrementare i profitti, la vittoria delle macchine è schiacciante.

Ed è per questo obiettivo – accumulare sempre più denaro – che le aziende investono nelle IA. Ponendoci di fronte a una scelta paradossale: affidare decisioni cruciali a esseri umani, imperfetti per natura, o a macchine infallibilmente efficienti nell’aumentare i guadagni? La risposta sembra scontata, e personalmente, farei la stessa scelta se trovato in una situazione simile.

Un alto dirigente d’azienda ha pronunciato parole che suonano quasi come una sentenza: è tempo di premere quel “pulsante virtuale” che accelererà la corsa delle IA, senza possibilità di ritorno. Se non fossero loro, sarebbe stato qualcun altro. In questa gara, l’umanità si trova in una posizione scomoda, quasi a non volersi mostrare per non evidenziare ulteriormente la propria inferiorità.

Questo articolo, viaggiando attraverso filtri digitali e reti sociali, si guadagnerà la sua posizione online, ma non porterà profitti immediati, né dollari né corone scandinave. E così, le scelte delle macchine rifletteranno questa realtà, perché, in fin dei conti, il business deve proseguire.

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