Moby Dick. Herman Melville
Moby Dick. Herman Melville

La caccia interminabile: perché Moby Dick solca ancora i nostri mari letterari

23/02/2023 - 09:10 EST

Moby Dick o la Balena di Herman Melville si erge come un leviatano nell’oceano della letteratura americana, un’opera di profondità così abissale e complessità così sconcertante da continuare a calamitare la nostra attenzione, a più di un secolo e mezzo dal suo primo, e in gran parte ignorato, approdo nel mondo. Il suo viaggio, da cocente delusione commerciale e critica durante la vita stessa di Melville al suo attuale status venerato di pietra miliare della letteratura mondiale, è una narrazione avvincente quanto la tragica odissea del Pequod. Questa trasformazione la dice lunga sulla perdurante potenza del romanzo, sulla sua capacità di risuonare attraverso le generazioni e sulla sua anticipazione quasi profetica di correnti letterarie e filosofiche che sarebbero emerse in pieno solo decenni dopo la sua pubblicazione.

I. L’enigmatico fascino della Balena Bianca: un’ouverture all’ossessione

A. Il paradosso di Moby Dick: dall’oscurità all’Olimpo

Quando Moby Dick apparve per la prima volta nel 1851, fu accolto da una sconcertante miscela di confusione, sufficienza e aperta ostilità da parte di molti critici e del pubblico dei lettori. Vendette appena 3.000 copie durante la vita di Melville, un fallimento commerciale che contribuì al declino della reputazione letteraria dell’autore. I recensori giudicarono la sua struttura non convenzionale, le sue dense divagazioni filosofiche e i suoi temi oscuri e provocatori come “assurdi”, “privi di artisticità” ed “eccentrici”. Il romanzo fu, secondo la maggior parte dei resoconti contemporanei, un “fiasco colossale”. Eppure, oggi, è acclamato come un’esplorazione monumentale della condizione umana, un’opera che è al contempo tragedia, indagine filosofica e profonda allegoria. Il suo incipit, “Chiamatemi Ismaele”, è tra i più iconici di tutta la letteratura, e il racconto della caccia ossessiva del Capitano Achab alla grande balena bianca ha permeato la cultura globale.

L’iniziale rifiuto del romanzo non può essere inteso semplicemente come una conseguenza del suo stile ostico o della scemante fascinazione del pubblico per l’industria baleniera. Piuttosto, la sua oscura lotta esistenziale con temi come il fato, la follia e il confronto dell’individuo con un universo indifferente o addirittura malevolo sembrava prefigurare le ansie e le disillusioni che avrebbero caratterizzato il pensiero modernista del XX secolo. Gli stessi elementi che sbalordirono il suo pubblico contemporaneo – la sua ambiguità, la sua esplorazione dell’assenza di significato, i suoi complessi ritratti psicologici e la sua rappresentazione della natura come “indifferente… e anche più grande degli uomini” – furono precisamente quelli che entrarono in risonanza con una generazione successiva alla Prima Guerra Mondiale. Questa generazione, plasmata dal conflitto globale e dal crollo delle antiche certezze, trovò nell’intricata e spesso inquietante visione di Melville un riflesso delle proprie preoccupazioni esistenziali. Moby Dick, in un certo senso, attendeva il suo momento storico, un’epoca in cui le sue profonde indagini sulla condizione umana avrebbero trovato un clima intellettuale più ricettivo, portando alla sua “riscoperta” e infine alla sua canonizzazione.

B. Il richiamo dell’abisso: perché Moby Dick ci tormenta ancora

Il fascino duraturo di Moby Dick scaturisce da una potente combinazione di elementi. È il racconto di una cerca epica, che traccia un viaggio periglioso attraverso gli oceani del mondo all’inseguimento di una creatura elusiva, quasi mitica. Presenta un cast di personaggi scritti a caratteri cubitali, dal contemplativo narratore Ismaele al “grandioso, empio, divino uomo”, il Capitano Achab, la cui ossessione monomaniacale spinge la narrazione verso la sua tragica conclusione. Oltre all’avventura elettrizzante, il romanzo si immerge in profonde profondità filosofiche, lottando con “le più profonde questioni dell’esistenza: conoscenza, scopo, mortalità e il posto dell’uomo nel cosmo”. La pura ambizione dell’impresa letteraria di Melville, il suo tentativo di comprendere la totalità dell’esperienza umana entro i confini di una baleniera, continua a stupire e sfidare i lettori. È, come alcuni hanno sostenuto, un’epopea alla pari dei testi fondamentali della letteratura occidentale, un’opera che cerca di affrontare le domande senza risposta dell’esistenza attraverso il prisma della devastante faida di un uomo con una balena.

II. “Chiamatemi Ismaele”: navigare nei mari narrativi

A. Il narratore errante: la voce e la visione di Ismaele

Il viaggio nel cuore oscuro di Moby Dick inizia con uno degli inviti più memorabili della letteratura: “Chiamatemi Ismaele”. Questo incipit stabilisce immediatamente una voce narrante distintiva, alquanto enigmatica. Ismaele, ex maestro di scuola e marinaio occasionale, si presenta come un uomo attratto dal mare da un profondo senso di irrequietezza e noia esistenziale, un “sostituto della pistola e della pallottola”. È, per sua stessa ammissione, un reietto, un vagabondo in cerca di avventura e forse di una qualche forma di significato nella vasta indifferenza dell’oceano. Lungo tutto il romanzo, Ismaele non funge semplicemente da cronista degli eventi, ma da guida filosofica, attenta e riflessiva. Il suo ruolo è complesso; è sia un personaggio che partecipa al viaggio sia la coscienza generale che plasma l’esperienza del lettore. La sua curiosità intellettuale e la sua apertura mentale, particolarmente evidenti nel suo rapporto in evoluzione con il ramponiere polinesiano Queequeg, gli permettono di navigare i pericoli fisici e morali del viaggio del Pequod e, infine, di sopravvivere alla sua distruzione, dimostrando come la sua filosofia e la sua apertura all’esperienza siano vitali, in contrasto con l’ossessione mortifera di Achab.

La narrazione di Ismaele è essa stessa un complesso arazzo, che intreccia resoconti di prima mano con più ampie riflessioni filosofiche e dettagliate esposizioni sul mondo della caccia alle balene. Melville impiega una prospettiva narrativa fluida, passando spesso dalle esperienze dirette in prima persona di Ismaele a un punto di vista più onnisciente in terza persona, che consente l’accesso alle riflessioni solitarie di Achab o a scene a cui Ismaele stesso non assiste. Questa flessibilità narrativa permette a Melville di dipingere su una tela molto più ampia di quanto consentirebbe una prospettiva strettamente limitata. Tuttavia, introduce anche un livello di complessità narrativa, con Ismaele che a volte appare come un narratore “a distanza di sicurezza”, più un testimone che un partecipante attivo una volta in mare, e la sua voce che occasionalmente assume una qualità che sembra “palesemente fittizia”. Questa stessa inaffidabilità o artificiosità contribuisce alla ricchezza del romanzo, spingendo i lettori a impegnarsi attivamente nel processo di interpretazione piuttosto che a ricevere passivamente un resoconto singolare e autorevole.

B. Un “brodetto narrativo”: la maestria di Melville nel piegare i generi

Moby Dick è notoriamente non convenzionale nella sua struttura, una “enciclopedia di forme, un brodetto narrativo” tentacolare che sfida audacemente ogni facile categorizzazione. Melville fonde magistralmente una moltitudine di generi letterari: è al contempo un’emozionante storia di avventure marittime, una profonda tragedia shakespeariana, un denso trattato filosofico, un meticoloso manuale scientifico (in particolare nei suoi dettagliati capitoli cetologici), una raccolta di sermoni e soliloqui, e persino, a tratti, un copione teatrale completo di didascalie. Il romanzo può sembrare una “tragedia teatrale mascherata da romanzo”, con momenti in cui il sipario narrativo sembra scivolare, rivelando il palcoscenico sottostante. Questa ibridazione generica era rivoluzionaria per la sua epoca e rimane una delle caratteristiche distintive della singolare tessitura letteraria di Moby Dick. Permette a Melville di esplorare il suo soggetto poliedrico – la balena, la caccia, la condizione umana – da una sorprendente varietà di angolazioni, arricchendo incommensurabilmente la narrazione e sfidando al contempo le aspettative convenzionali del lettore.

Questa stessa anticonvenzionalità – la natura tentacolare, digressiva e intergenerica della narrazione – non è un difetto o una mera eccentricità autoriale, ma piuttosto una scelta artistica deliberata che rispecchia le preoccupazioni tematiche centrali del romanzo, in particolare i limiti della conoscenza umana e la natura elusiva e inafferrabile della verità ultima. La struttura del romanzo sembra mettere in scena la stessa incertezza epistemologica che esplora. Proprio come la grande balena bianca, Moby Dick, alla fine “deve rimanere non dipinta fino all’ultimo”, resistendo a qualsiasi interpretazione finale e definitiva, così anche il romanzo stesso sfida la riduzione a un singolo genere o a una lettura lineare e diretta. I famigerati capitoli cetologici, ad esempio, che tentano meticolosamente di catalogare e classificare la balena, possono essere visti come un grandioso, quasi disperato, sforzo di comprendere l’incomprensibile, di imporre un ordine alla caotica vastità della natura. La potenziale frustrazione del lettore di fronte a queste digressioni, alla mole di informazioni e ai costanti cambiamenti di voce e stile, rispecchia le lotte degli stessi personaggi per comprendere la balena, l’oceano e l’universo stesso. L'”ampiezza del ‘tedio’ baleniero”, come l’ha descritta un lettore, può essere intesa come un espediente tematico, che enfatizza l’ardua, spesso futile, ricerca di conoscenza e significato. Il libro, come la balena, “ti sfida”, la sua struttura è una testimonianza dell’idea che alcune verità potrebbero rimanere sempre appena fuori dalla nostra portata.

III. La “faida inestinguibile” di Achab: anatomia di un’ossessione

A. “Un uomo grandioso, empio, simile a un dio”: la complessità del Capitano Achab

Al timone del Pequod e nel cuore oscuro di Moby Dick si erge il Capitano Achab, una delle figure più formidabili e incessantemente dibattute della letteratura. Descritto da Peleg, comproprietario della nave, come “un uomo grandioso, empio, simile a un dio” che tuttavia “ha le sue umanità”, Achab è un personaggio di profonde contraddizioni. È innegabilmente carismatico, possedendo un potere quasi ipnotico sul suo equipaggio, eppure è guidato da una “cerca monomaniacale” intensa, ossessiva e alla fine autodistruttiva di vendetta contro la balena bianca che gli ha amputato una gamba. Non è un semplice antagonista; la sua profondità intellettuale, la sua retorica poetica e potente, e la vastità della sua sofferenza gli conferiscono una grandezza tragica, anche se le sue azioni portano a una devastazione diffusa.

Le motivazioni di Achab vanno oltre la semplice vendetta per una ferita fisica. Sebbene la perdita della gamba sia il catalizzatore della sua “faida inestinguibile”, la sua caccia a Moby Dick si trasforma in una ribellione metafisica. Egli arriva a vedere la balena bianca non solo come una creatura specifica e malevola, ma come la “maschera di cartapesta”, l’incarnazione visibile di tutta l’imperscrutabile malvagità e ingiustizia che percepisce nell’universo. La sua caccia diventa una sfida sprezzante a queste forze nascoste, un tentativo di “colpire, colpire attraverso la maschera!” e affrontare la realtà sottostante, per quanto terribile possa essere. Questa dimensione filosofica della sua ricerca eleva la sua ossessione oltre la vendetta personale, ritraendolo come un uomo alle prese con le più profonde questioni dell’esistenza, sebbene in modo distruttivo e alla fine futile.

B. L’equipaggio come estensione della volontà di Achab: complicità e resistenza

La volontà torreggiante e l’oratoria ammaliante di Achab trasformano efficacemente il viaggio di caccia commerciale del Pequod in uno strumento della sua vendetta personale. L’equipaggio, un insieme eterogeneo di uomini provenienti da tutto il mondo, rimane invischiato nella sua ossessione, i loro scopi individuali sommersi dai suoi. Come osserva Ismaele, “la faida inestinguibile di Achab sembrava la mia”. Questa drammatica presa di potere mette in luce temi di leadership carismatica, manipolazione psicologica e le dinamiche spesso spaventose del comportamento collettivo. L’unicità di intenti del capitano crea un’atmosfera tesa e presaga a bordo della nave, mentre la ricerca del profitto cede il passo alla ricerca di un sogno spettrale e vendicativo.

La principale voce di opposizione alla folle impresa di Achab è Starbuck, il primo ufficiale del Pequod. Quacchero di Nantucket, Starbuck è descritto come cauto, morale e razionale, un uomo ancorato al pragmatismo e alla fede religiosa. Sfida ripetutamente Achab, sostenendo che il loro dovere è cacciare balene per l’olio, non assecondare la rabbia “blasfema” del capitano. Starbuck funge da contraltare cruciale ad Achab, rappresentando le istanze della ragione e della moralità convenzionale contro la marea di un’ossessione travolgente. Eppure, nonostante le sue convinzioni e i suoi momenti di coraggiosa sfida, Starbuck è alla fine incapace di distogliere Achab dal suo corso distruttivo. Le sue lotte interiori – combattuto tra il dovere verso il suo capitano, la paura per la sicurezza dell’equipaggio e la propria bussola morale – sono centrali nello sviluppo tragico del romanzo. Considera persino di uccidere Achab per salvare la nave, un pensiero che rivela quanto profondamente l’influenza corrosiva di Achab sia permeata anche negli uomini più integri. Il fallimento di Starbuck nel fermare Achab sottolinea il terrificante potere della monomania e la difficoltà di resistere alla volontà autoritaria, specialmente quando è alimentata da un carisma così potente e da una sofferenza percepita.

C. L’ombra profetica: Fedallah e il destino del Pequod

Ad aggiungere un’aura di fatalismo e misticismo orientale al viaggio del Pequod è l’enigmatica figura di Fedallah, il ramponiere parsi di Achab e capo di una ciurma ombrosa e privata imbarcata di nascosto dal capitano. Fedallah è un “mistero ovattato fino all’ultimo”, una presenza silenziosa, quasi spettrale, che funge da incrollabile attendente di Achab e, significativamente, da profeta. Egli consegna una serie di arcane profezie riguardanti la morte di Achab, predizioni che, pur sembrando offrire condizioni per la sopravvivenza di Achab, alla fine suggellano il suo destino e quello del Pequod. Queste profezie – che prima di poter morire, Achab dovrà vedere due carri funebri sul mare, uno non fatto da mani mortali e l’altro di legno americano, e che solo la canapa potrà ucciderlo – si compiono tutte sinistramente nel catastrofico climax del romanzo.

Il ruolo di Fedallah si estende oltre quello di un semplice indovino; è stato interpretato come l'”altro mistico”, una “guida esegetica”, o persino un’incarnazione del male, un famiglio diabolico che sprona Achab sul suo oscuro sentiero. La sua incrollabile, quasi soprannaturale devozione alla causa di Achab e la sua costante, silenziosa presenza al fianco del capitano suggeriscono una connessione più profonda, più intrinseca. Piuttosto che essere semplicemente un'”influenza malvagia” esterna, Fedallah può essere inteso come un’esteriorizzazione di un aspetto fondamentale, forse profondamente represso o pervertito, della psiche stessa di Achab. Se Achab è un uomo in ribellione contro una percepita ingiustizia cosmica, un uomo che si vede come “un uomo grandioso, empio, simile a un dio” in una ricerca profondamente interiore e filosofica per “colpire attraverso la maschera” della realtà, allora Fedallah potrebbe simboleggiare la parte di Achab che si è interamente arresa a questa visione del mondo oscura e fatalista. Potrebbe rappresentare una coscienza corrotta o una spinta nichilista, un anti-Starbuck che, invece di esortare alla cautela e alla moralità, afferma e abilita silenziosamente gli impulsi più distruttivi di Achab. Il “mistero ovattato” di Fedallah potrebbe, infatti, essere il mistero delle convinzioni più profonde e terrificanti di Achab stesso, il motore silenzioso e oscuro della sua inflessibile volontà.

IV. Il biancore della balena, le profondità del significato: il simbolismo in Moby Dick

A. Moby Dick: la “maschera di cartapesta” dell’universo

La balena bianca, Moby Dick, è il simbolo centrale e imponente del romanzo, un’entità così vasta e poliedrica nelle sue implicazioni da aver suscitato una gamma apparentemente infinita di interpretazioni. È molto più di una semplice creatura biologica; diventa una “maschera di cartapesta”, uno schermo su cui i personaggi – e, invero, generazioni di lettori – proiettano le loro paure, credenze, desideri e ossessioni più profonde. Per Achab, Moby Dick è l’incarnazione di ogni male, l'”incarnazione monomaniacale di tutte quelle malvagie forze che alcuni uomini profondi sentono divorarli dentro”. Per altri, la balena potrebbe rappresentare il potere indomabile della natura, l’imperscrutabile volontà di Dio, il vuoto terrificante di un universo indifferente, o la natura elusiva della verità stessa.

La caratteristica più sorprendente della balena, il suo biancore, è cruciale per il suo potere simbolico. Melville dedica un intero capitolo, “Il biancore della balena”, all’esplorazione della sua natura paradossale. Ismaele cataloga meticolosamente le associazioni convenzionali del bianco con la purezza, l’innocenza, la divinità e la maestà in varie culture e contesti – dagli aspetti “benigni” dei “santi vestiti di bianco del cielo” alle connotazioni “regali” dell’elefante bianco del Siam o del destriero bianco dello stendardo hannoveriano. Eppure, sostiene, questo stesso colore, quando “separato da associazioni più gentili, e accoppiato a un qualsiasi oggetto terribile in sé,” diventa un “agente intensificante” di orrore. Il biancore dell’orso polare o dello squalo bianco, suggerisce, amplifica il loro terrore. Così, in Moby Dick, il biancore trascende il suo simbolismo tradizionale per evocare un profondo terrore esistenziale. Può significare il “vuoto muto, pieno di significato”, una vacuità terrificante, i “vuoti e le immensità spietate dell’universo” che spogliano le confortanti illusioni del colore e del significato, rivelando una realtà sottostante, forse caotica o persino malevola. Questa ambiguità, questa capacità del biancore di incarnare sia il sublime che il terrificante, il sacro e il profano, rende Moby Dick un simbolo inesauribile del mistero ultimo dell’universo.

B. Il Pequod: un mondo condannato alla deriva

La baleniera Pequod, sulla quale si svolge la maggior parte del romanzo, è essa stessa un potente simbolo. Chiamata come una tribù di nativi americani decimata dai coloni europei, la sua stessa denominazione porta con sé un infausto presagio di distruzione. La nave è descritta come vecchia e logorata dalle intemperie, adornata con ossa e denti di balene, che le conferiscono un aspetto cupo, quasi funereo – una “carcassa galleggiante” che naviga verso la sua rovina. Con il suo equipaggio eterogeneo e internazionale, proveniente da tutti gli angoli del globo e rappresentante una moltitudine di razze e credi, il Pequod diventa un microcosmo dell’umanità. È un mondo in miniatura, un palcoscenico su cui si svolge il grande dramma dell’ambizione, della follia e della fratellanza umana. Sotto il comando di Achab, questa società galleggiante viene distolta dal suo scopo commerciale e trasformata in un vascello di vendetta, simbolo del destino collettivo dell’umanità quando è guidata da un’ossessione totalizzante e irrazionale. Il suo viaggio può anche essere visto come una rappresentazione dell’implacabile spinta dell’ambizione industriale del XIX secolo, in particolare la natura sfruttatrice dell’industria baleniera stessa, che si spinge sempre più lontano in acque inesplorate all’inseguimento della sua preda. In definitiva, il Pequod è una nave del destino, la sua sorte indissolubilmente legata a quella del suo capitano e della balena bianca che egli insegue.

C. Il mare: un'”immagine dell’inafferrabile fantasma della vita”

L’oceano fornisce lo sfondo vasto e indifferente per il tragico viaggio del Pequod, e anch’esso funziona come un profondo simbolo. Ismaele stesso riflette notoriamente sull’attrazione magnetica dell’acqua, affermando che “meditazione e acqua sono sposate per sempre”. Il mare in Moby Dick rappresenta il subconscio, il “grande caos da cui sorgono la vita e Dio”. È un regno di immenso potere, bellezza e terrore, che incarna la sublime indifferenza della natura verso le imprese umane. L’oceano è un’entità “anfibia”, che a volte appare serena e invitante, altre volte rivela la sua capacità selvaggia, pericolosa e distruttiva. Nasconde profondità e verità sconosciute, rispecchiando la balena stessa, la cui mole rimane in gran parte celata alla vista. Per Ismaele, il mare è un'”immagine dell’inafferrabile fantasma della vita”, un regno dove si giocano i misteri più profondi dell’esistenza, spesso con conseguenze brutali per coloro che osano navigare la sua immensità.

D. Il doblone: uno specchio per l’anima

Un episodio simbolico particolarmente ricco si verifica nel capitolo intitolato “Il doblone”, dove Achab inchioda una moneta d’oro ecuadoriana all’albero maestro del Pequod, offrendola come ricompensa al primo uomo che avvisterà Moby Dick. Man mano che vari membri dell’equipaggio si avvicinano ed esaminano la moneta, le loro interpretazioni rivelano meno sul doblone stesso e più sulle loro nature individuali, credenze e preoccupazioni. Starbuck vede nelle sue immagini una cupa allegoria religiosa, che riflette le sue ansie sulla natura blasfema del viaggio. Il pragmatico Stubb vi trova un messaggio allegro e fatalista. Il materialista Flask ne vede solo il valore monetario: sedici dollari, o “novecentosessanta” sigari. Achab stesso, in un momento di profonda intuizione, dichiara: “questo oro rotondo non è che l’immagine del globo più rotondo, che, come uno specchio magico, a ogni uomo a turno non fa che riflettere il proprio misterioso sé”.

Questo capitolo funge da magistrale esplorazione della soggettività e dell’atto stesso dell’interpretazione. Il doblone diventa una tela bianca, il suo significato costruito piuttosto che inerente, dipendente interamente dalla prospettiva dell’osservatore. Questa scena offre un avvincente meta-commento sul romanzo Moby Dick stesso. Le varie interpretazioni del doblone da parte dell’equipaggio del Pequod prefigurano direttamente le diverse interpretazioni critiche e dei lettori che il romanzo ha suscitato nel corso dei secoli. Proprio come ogni marinaio proietta la sua visione del mondo sulla moneta, così anche critici letterari e lettori hanno proiettato una moltitudine di significati sul complesso testo di Melville. L’osservazione di Stubb, “C’è un’altra lettura ora, ma sempre un solo testo”, evidenzia esplicitamente questa connessione tra l’esercizio ermeneutico dell’equipaggio e l’atto più ampio della lettura. Lo status duraturo del romanzo come “testo vivente”, capace di generare “numerose interpretazioni”, è prefigurato in questo microcosmo di creazione di significato a bordo del Pequod. Melville mostra così una sofisticata autoconsapevolezza autoriale, incorporando nella sua narrazione una riflessione sul processo soggettivo e continuo attraverso il quale i testi acquisiscono significato.

V. La fucina di Melville: caccia alle balene, esperienza e arte letteraria

A. “Un viaggio baleniera la mia Yale e la mia Harvard”: la vita di mare di Melville

La profonda comprensione di Herman Melville del mare e della vita baleniera non nacque da studi accademici ma da un’esperienza personale diretta, spesso ardua. Nel 1841, si imbarcò sulla baleniera Acushnet per un viaggio che gli avrebbe fornito un’inestimabile istruzione sulle pratiche, i pericoli e i drammi umani dell’industria baleniera del XIX secolo. Questa conoscenza di prima mano infonde Moby Dick di un’autenticità senza pari e di una ricchezza di dettagli vividi. Le sue descrizioni dei complessi processi di caccia alle balene, dello squartamento e della lavorazione dell’olio, dell’intricata gerarchia sociale a bordo di una baleniera, e della pura fatica fisica e del costante pericolo affrontato dall’equipaggio sono “complete e implacabilmente accurate”. Melville trasforma le sue esperienze in un “tributo letterario all’industria baleniera”, catturandone sia le brutali realtà sia il suo strano e avvincente fascino. Inoltre, fu profondamente influenzato dalla storia vera della baleniera Essex, che fu attaccata e affondata da un capodoglio nel 1820 – una narrazione che fornì un agghiacciante precedente reale per il conflitto centrale del suo romanzo. Questo radicamento nell’esperienza vissuta e nei resoconti storici conferisce una potente verosimiglianza anche agli elementi più fantastici del suo racconto.

B. Il linguaggio del Leviatano: lo stile unico di Melville

Lo stile letterario di Moby Dick è vasto, vario e potente quanto la creatura che insegue. Melville forgia una prosa che è unicamente sua, un ricco amalgama di alta retorica e gergo salmastro, di passaggi densamente filosofici e sequenze d’azione elettrizzanti e immediate. Il suo linguaggio è “nautico, biblico, omerico, shakespeariano, miltoniano, cetologico”, una testimonianza delle sue ampie letture e della sua ambizione di creare un’opera americana veramente epica. Egli estende i confini della grammatica, cita da diverse fonti e non teme di coniare nuove parole e frasi quando il vocabolario inglese esistente si rivela insufficiente per le complesse sfumature che desidera esprimere. Questa inventiva linguistica – creando nuovi nomi verbali come “coincidings” (coincidenze), aggettivi inconsueti come “leviathanic” (leviatanico), e persino verbi da nomi come “to serpentine” (serpeggiare) – conferisce alla sua prosa una qualità dinamica e muscolare perfettamente adatta al suo grandioso soggetto.

L’influenza di Shakespeare è particolarmente profonda, evidente non solo nelle allusioni dirette ma anche nella struttura drammatica di certe scene e, soprattutto, nel linguaggio elevato e poetico dei soliloqui e dei discorsi di Achab, che spesso seguono il metro del blank verse e conferiscono al suo personaggio una statura tragica, quasi mitica. Cadenze e allusioni bibliche permeano anche il testo, investendo la narrazione di un senso di peso morale e urgenza profetica.

Intercalati in questo ricco arazzo letterario ci sono i controversi capitoli cetologici – esposizioni dettagliate, spesso lunghe, sull’anatomia, il comportamento e la storia delle balene. Sebbene alcuni lettori abbiano trovato queste sezioni digressioni tediose che ostacolano il flusso narrativo, esse sono parte integrante dell’ambizione enciclopedica di Melville e della sua esplorazione dei limiti della conoscenza umana. Questi capitoli rappresentano un tentativo di afferrare, classificare e comprendere la balena attraverso il discorso scientifico, eppure sottolineano in ultima analisi il mistero ultimo della creatura e l’inadeguatezza dei sistemi umani per comprendere appieno il mondo naturale. L’atto di classificare, come lo intraprende Ismaele, diventa una metafora del bisogno umano di trovare ordine e significato, anche di fronte all’insondabile.

VI. Echi nell’abisso: il viaggio continuo di Moby Dick

A. Dall’oblio al “Rinascimento di Melville”: una resurrezione letteraria

La storia della ricezione critica di Moby Dick è drammatica, segnata da un iniziale oblio e da una notevole resurrezione postuma. Come precedentemente notato, il romanzo fu ampiamente incompreso e commercialmente infruttuoso durante la vita di Melville, contribuendo al suo scivolamento nell’oscurità letteraria. Per decenni dopo la sua morte nel 1891, Melville fu principalmente ricordato, se non del tutto, per i suoi precedenti e più convenzionali racconti d’avventura dei Mari del Sud come Taipi e Omoo.

La marea iniziò a cambiare all’inizio del XX secolo, culminando in quello che oggi è noto come il “Rinascimento di Melville” degli anni ’20. Questa recrudescenza di interesse fu alimentata da una confluenza di fattori, tra cui un mutato clima culturale all’indomani della Prima Guerra Mondiale, l’ascesa del modernismo letterario con il suo apprezzamento per la complessità e l’ambiguità, e gli sforzi dedicati di una nuova generazione di studiosi e critici. Figure chiave di questa rinascita inclusero Raymond Weaver, la cui biografia del 1921 Herman Melville: Mariner and Mystic riportò l’autore e il suo impegnativo capolavoro alla coscienza pubblica, e scrittori influenti come D.H. Lawrence, i cui Studi sulla letteratura americana classica (1923) elogiarono Moby Dick come “un libro di una bellezza insuperabile”. I critici iniziarono ad apprezzare il profondo simbolismo del romanzo, la sua profondità psicologica, le sue tecniche narrative innovative e la sua audace esplorazione di temi esistenziali – qualità che avevano alienato il suo pubblico originale ma che risuonavano profondamente con le sensibilità moderniste. La biografia di Lewis Mumford del 1929 consolidò ulteriormente la crescente reputazione di Melville. Questa rinascita non solo salvò Moby Dick dall’oblio, ma portò anche a una più ampia rivalutazione dell’intera opera di Melville e rimodellò fondamentalmente il canone della letteratura americana, sfidando il suo precedente focus prevalentemente incentrato sul New England.

B. La scia della Balena Bianca: influenza duratura su letteratura, arte e cultura

Dalla sua rinascita, Moby Dick ha proiettato un’ombra lunga e duratura sulla letteratura, l’arte e la cultura popolare successive. I suoi temi, personaggi e immagini iconiche hanno ispirato innumerevoli artisti attraverso diversi mezzi espressivi. Romanzieri da Norman Mailer, il cui Il nudo e il morto riecheggiava consapevolmente l’opera di Melville, a scrittori contemporanei come Cormac McCarthy e Toni Morrison ne hanno riconosciuto l’influenza. Il conflitto centrale del romanzo, la sua profondità filosofica e i suoi personaggi complessi forniscono terreno fertile per la reinterpretazione creativa.

Nelle arti visive, Moby Dick ha generato numerose edizioni illustrate e ispirato pittori e scultori. Le straordinarie illustrazioni di Rockwell Kent per l’edizione Lakeside Press del 1930 divennero iconiche, e artisti come Jackson Pollock e Frank Stella hanno creato opere significative attingendo ai temi e ai titoli dei capitoli del romanzo. Più recentemente, Matt Kish ha intrapreso l’ambizioso progetto di creare un disegno per ogni pagina del romanzo.

La storia di Achab e della balena bianca è stata anche adattata numerose volte per il cinema e la televisione, dai primi film muti come Il mostro del mare (1926) al famoso adattamento di John Huston del 1956 con Gregory Peck. I riferimenti a Moby Dick abbondano nella cultura popolare, apparendo nella musica (il brano strumentale dei Led Zeppelin “Moby Dick”, il rap di MC Lars “Ahab”), nell’umorismo (le vignette di Gary Larson) e persino in serie televisive come Star Trek, i cui temi esplorativi risuonano con quelli di Melville. La trama e i personaggi chiave del romanzo si sono profondamente radicati nel nostro immaginario culturale collettivo, a testimonianza della sua cruda potenza narrativa e ricchezza simbolica.

C. Moby Dick nel XXI secolo: lenti critiche contemporanee

Il viaggio interpretativo in Moby Dick è lungi dall’essere concluso. Nel XXI secolo, il romanzo continua a offrire nuove intuizioni se visto attraverso le diverse lenti della teoria letteraria contemporanea. Le letture psicanalitiche esplorano le profonde profondità psicologiche di personaggi come Achab, vedendo la sua ricerca come una manifestazione di traumi profondi o desideri repressi, e il Pequod stesso come un contenitore per la psiche umana collettiva, carica di ansie, paure e fissazioni. Gli approcci post-strutturalisti, in particolare quelli informati dalla decostruzione derridiana, si concentrano sull’instabilità del significato all’interno del testo, esaminando simboli come il doblone per illustrare come la significazione sia un gioco infinito di differenze, senza un centro ultimo e fisso.

Le interpretazioni ecocritiche trovano nella implacabile caccia di Achab alla balena una potente metafora del rapporto spesso distruttivo e di sfruttamento dell’umanità con il mondo naturale. L’industria baleniera del XIX secolo stessa è vista come un precursore del moderno esaurimento delle risorse, e Moby Dick può essere letto come un simbolo della fiera resistenza della natura o della sua sublime indifferenza di fronte all’hybris umana, temi che risuonano con particolare urgenza in un’era di crisi climatica e preoccupazione ambientale.

Le letture post-coloniali esaminano attentamente la rappresentazione del suo equipaggio multinazionale e multirazziale, esplorando come personaggi come Queequeg, Tashtego e Pip siano rappresentati attraverso lo sguardo spesso eurocentrico del narratore e le norme sociali del XIX secolo. Queste analisi approfondiscono temi di colonialismo, gerarchia razziale, l'”alterizzazione” delle culture non occidentali e l’inquietante eredità della schiavitù, trovando nel Pequod un sito compresso di dinamiche di potere globali e incontri culturali. La nave, con i suoi diversi abitanti – gli ufficiali superiori tipicamente bianchi del New England, la prua piena di uomini di tutte le razze e nazioni – diventa uno spazio affascinante, sebbene imperfetto, per esaminare questioni di rappresentazione, sfruttamento e costruzione dell’identità che rimangono altamente rilevanti per il discorso multiculturale e post-coloniale contemporaneo. La rappresentazione di Melville di queste figure “subalterne”, sebbene filtrata attraverso la lente del suo tempo, offre materiale ricco per criticare l’impresa imperiale che la caccia alle balene rappresentava su scala globale.

Le interpretazioni della teoria queer, nel frattempo, esplorano gli intensi legami maschili a bordo della società esclusivamente maschile del Pequod, in particolare la relazione profonda e spesso ambiguamente erotizzata tra Ismaele e Queequeg. Queste letture esaminano temi di omosocialità, omoerotismo, il desiderio di accettazione e la performance della mascolinità in un mondo in gran parte privo di donne, spesso evidenziando le dimensioni razzializzate di queste relazioni in un contesto del XIX secolo.

La capacità di Moby Dick di sostenere una così vasta gamma di interpretazioni critiche è una testimonianza della sua straordinaria complessità e del suo rifiuto di fornire risposte semplici. Ogni nuovo approccio teorico sembra scoprire ulteriori strati di significato, assicurando che il capolavoro di Melville rimanga un soggetto vitale e infinitamente affascinante per l’indagine letteraria.

D. L’incessante ricerca di significato

Moby Dick è più di un romanzo; è un’esperienza, un viaggio intellettuale ed emotivo che sfida, provoca e, in ultima analisi, trasforma il lettore. La sua ricchezza, come osserva uno studioso, “aumenta a ogni nuova lettura”. Come l’implacabile caccia di Achab alla balena bianca, la ricerca del lettore di una comprensione definitiva di Moby Dick potrebbe essere alla fine interminabile. Il romanzo si confronta con le “più profonde questioni dell’esistenza”, e la sua profonda ambiguità assicura che il suo “significato” ultimo rimanga elusivo e poliedrico come Moby Dick stesso. Eppure, è precisamente in questa elusività, nella sua capacità di generare una gamma apparentemente infinita di interpretazioni, che risiede il potere duraturo del romanzo. Il viaggio attraverso la sua prosa densa, le sue profondità filosofiche e la sua narrazione ossessionante è la sua stessa ricompensa. Moby Dick rimane un capolavoro profondo e inquietante, un leviatano letterario che continua a solcare i mari della nostra immaginazione, invitando ogni nuova generazione a imbarcarsi nella propria incessante ricerca di significato tra le sue pagine.

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