Una nuova docuserie in arrivo su Netflix si appresta a riesaminare uno dei programmi di reality TV più popolari e controversi. Intitolata ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’, la serie in tre parti offre uno sguardo dall’interno sulla competizione di perdita di peso diventata un fenomeno globale, esplorandone gli aspetti “positivi, negativi e complicati”. La serie è diretta da Skye Borgman, il cui lavoro precedente include il documentario investigativo Girl in the Picture, ed è prodotta da Boardwalk Pictures, segnalando l’intenzione di superare i cliché delle reunion dei reality per entrare nel regno del giornalismo serio.
The Biggest Loser ha debuttato sulla NBC nel 2004, andando in onda per 18 stagioni prima di trasferirsi sul canale USA Network. È diventato un colosso degli ascolti, basato su una premessa semplice: concorrenti in sovrappeso gareggiavano per perdere la più alta percentuale del loro peso corporeo in cambio di un primo premio di 250.000 dollari. Lo show si presentava come un veicolo per una trasformazione che cambiava la vita, ispirando milioni di spettatori. Tuttavia, ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ promette di esplorare l’abisso tra questa narrazione pubblica e la realtà dietro le quinte, presentando nuove e schiette interviste con ex concorrenti, allenatori come Bob Harper, produttori e professionisti della salute indipendenti.
Il documentario inquadra un conflitto centrale che ha gettato un’ombra sullo show per anni. Da un lato c’è il team di produzione, rappresentato da figure come il produttore esecutivo David Broome, che nel trailer della serie si lancia in una difesa sprezzante: “Ditemi un solo show che abbia davvero cambiato la vita delle persone come ha fatto The Biggest Loser. Mi piacerebbe sentirlo”. Dall’altro lato ci sono i concorrenti e persino alcuni addetti ai lavori che presentano un quadro nettamente diverso. L’allenatore Bob Harper riconosce la formula che ha decretato il successo dello show, ammettendo che lo spettacolo della sofferenza era una scelta deliberata: “Vederci in palestra urlare e gridare… quella è buona TV”.
L’uscita di questo documentario è tempestiva, arrivando più di due decenni dopo la prima dello show originale. In questo lasso di tempo, il panorama culturale e scientifico è cambiato radicalmente. La narrazione iniziale secondo cui la perdita di peso è una semplice questione di forza di volontà, promossa dallo show, è stata messa in discussione da una più profonda comprensione scientifica del metabolismo, degli ormoni e della complessa biologia dell’obesità. Un fondamentale studio del 2016 dei National Institutes of Health (NIH) su ex concorrenti di The Biggest Loser ha fornito dati cruciali su questi effetti fisiologici a lungo termine, spostando il dibattito dall’aneddotica alle prove concrete. Allo stesso tempo, le conversazioni pubbliche sulla salute mentale, l’immagine corporea e l’etica dei media si sono evolute, creando una nuova lente attraverso cui guardare i metodi dello show. ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ non è quindi solo una retrospettiva; è una rivalutazione, che applica questa comprensione moderna a un artefatto culturale di un’altra epoca. La scelta di una regista investigativa come Borgman sottolinea questo scopo, suggerendo che la serie mira a chiedere conto a una potente istituzione mediatica delle sue pratiche e del loro impatto duraturo.
Confessioni sullo schermo e accuse dannose
Il cuore di ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ sono le testimonianze dirette di coloro che hanno vissuto l’esperienza, i quali sostengono che la ricerca di una televisione spettacolare sia avvenuta a un grave costo fisico e psicologico. La serie descrive in dettaglio le accuse secondo cui i metodi dello show spingevano i concorrenti in un territorio pericoloso, con scarsa considerazione per il loro benessere. Tracey Yukich, concorrente dell’ottava stagione, afferma nel trailer: “I miei organi stavano letteralmente cedendo”, mentre Joelle Gwynn della settima stagione ricorda di avere così tanto dolore da poter “a malapena camminare”, per poi essere liquidata dallo staff che le diceva: “Camminaci su, passa”. Queste accuse davanti alla telecamera fanno eco a precedenti resoconti fuori onda di ex partecipanti. Kai Hibbard, della terza stagione, aveva precedentemente riferito di aver sofferto per settimane di piedi sanguinanti, perdita di capelli e interruzione del ciclo mestruale a causa del regime dello show. Un’altra concorrente anonima di quell’epoca ha affermato di sopravvivere con sole 400 calorie sopportando allenamenti di otto-nove ore, il che ha portato a una grave perdita di memoria a breve termine.
Il documentario suggerisce che questa sofferenza non fosse uno sfortunato effetto collaterale, ma un elemento intenzionale della produzione dello show. L’allenatore Bob Harper fornisce un’ammissione chiave, affermando che i produttori cercavano attivamente contenuti viscerali e spesso inquietanti. “Alla gente piace prendere in giro i grassi”, dice la concorrente Joelle Gwynn, a cui Harper aggiunge: “E i produttori amano quella merda. Dicevano: ‘Vogliamo che vomitino. Vogliamo tutta la follia della cosa’”. Questa dichiarazione collega direttamente la strategia di intrattenimento dello show allo sfruttamento dello stigma legato al peso. La “follia” era il prodotto venduto agli spettatori. Questo approccio iniziava già dal processo di casting. Il produttore esecutivo J.D. Roth è schietto riguardo ai criteri di selezione: “Non cercavamo persone in sovrappeso e felici. Cercavamo persone in sovrappeso e infelici”. Questo puntare a individui emotivamente vulnerabili era aggravato da ciò che l’ex allenatrice Jillian Michaels ha poi descritto come una mancanza di adeguato supporto psicologico sul set, notando che i concorrenti avevano bisogno di un “lavoro profondo” che lo show non era attrezzato a fornire. Il documentario include accuse secondo cui gli allenatori, senza qualifiche professionali, si trovavano nella posizione di fornire terapia.
Questo sistema era progettato per produrre risultati drastici in un ambiente artificiale e insostenibile. I concorrenti venivano isolati dalle loro vite reali — lavoro, famiglia e tentazioni quotidiane — e sottoposti a esercizio fisico estremo e restrizione calorica impossibili da mantenere a lungo termine. Dopo la finale, molti concorrenti hanno riferito di essere stati “abbandonati” dallo show, senza un sistema di assistenza o supporto strutturato, anche quando hanno iniziato a riprendere peso e a chiedere aiuto. Questo esito prevedibile è stato poi inquadrato da alcuni associati allo show come un fallimento personale e morale. L’ex produttore J.D. Roth ha definito la ripresa di peso come un ritorno dei concorrenti a “schemi decisionali sbagliati” dopo aver “vinto alla lotteria” partecipando allo show. Il documentario sembra sfidare direttamente questa narrazione, suggerendo che il fallimento non fosse dei concorrenti, ma del sistema che li ha messi su un percorso verso un collasso fisico e psicologico quasi inevitabile.
La serie cattura anche le posizioni complesse e talvolta contraddittorie delle persone coinvolte. Bob Harper, nonostante le sue schiette ammissioni sulle richieste della produzione, dichiara anche: “Non metterei mai nessuno in pericolo”. Questa giustapposizione evidenzia la difficile posizione che gli allenatori potrebbero aver occupato, combattuti tra la pressione dei produttori per contenuti che facessero ascolti e un senso di responsabilità personale per le persone a loro affidate. Complica una semplice narrazione di eroi e cattivi, ritraendo invece un sistema in cui i talenti sullo schermo potrebbero essere stati sia complici che partecipanti in conflitto.
La scienza delle conseguenze: un tributo biologico duraturo
Oltre alle testimonianze emotive, ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ è supportato da prove scientifiche che danno peso alle affermazioni dei concorrenti. Il documentario rivisita i risultati di uno studio fondamentale del 2016 condotto dal Dr. Kevin Hall dei National Institutes of Health e pubblicato sulla rivista Obesity, che ha seguito 14 concorrenti dell’ottava stagione per sei anni dopo la fine della competizione. Questa ricerca fornisce uno sguardo crudo e quantitativo sulle conseguenze biologiche a lungo termine dei metodi dello show.
La scoperta più critica dello studio riguarda un fenomeno chiamato “adattamento metabolico”, ovvero il rallentamento del Tasso Metabolico a Riposo (TMR) del corpo in risposta alla perdita di peso. Sebbene un certo rallentamento metabolico sia normale durante una dieta, gli effetti sui concorrenti di The Biggest Loser sono stati estremi e persistenti. Alla fine delle 30 settimane dello show, il loro metabolismo era rallentato in media di 610 calorie al giorno in più di quanto ci si aspetterebbe per la loro nuova e più piccola corporatura. La scoperta veramente dannosa è stata che questo danno metabolico non è guarito. Sei anni dopo, anche dopo aver ripreso in media 40 kg, il loro metabolismo era ancora soppresso, bruciando in media 704 calorie al giorno in meno di quanto avrebbero dovuto.
Questo danno metabolico era aggravato da una battaglia ormonale. Lo studio ha misurato i livelli di leptina, un ormone chiave che segnala la sazietà al cervello. Al termine dello show, i livelli di leptina dei concorrenti erano crollati quasi a zero. Sei anni dopo, si erano ripresi solo a circa la metà dei loro livelli originali, lasciandoli in uno stato di fame costante e intensa. La combinazione di un metabolismo permanentemente soppresso e di implacabili segnali di fame ha creato una trappola biologica. Ha reso una significativa ripresa di peso quasi inevitabile, guidata dalla fisiologia piuttosto che da un fallimento della forza di volontà. I dati dello studio, riassunti di seguito, lo rendono chiaro.
Metrica | Iniziale (Prima dello show) | Fine della gara (30 settimane) | Follow-up a 6 anni |
Peso medio | 148.9 kg (328 lb) | 90.6 kg (199 lb) | 131.6 kg (290 lb) |
TMR medio (effettivo) | 2,607 kcal/giorno | 1,996 kcal/giorno | 1,903 kcal/giorno |
Adattamento metabolico | +29 kcal/giorno (Normale) | -275 kcal/giorno (Rallentato) | -499 kcal/giorno (Persistentemente rallentato) |
Leptina (Ormone della sazietà) | 41.14 ng/mL | 2.56 ng/mL | 27.68 ng/mL |
Fonte: Fothergill et al., Obesity (2016) |
Le scoperte scientifiche rivelano un crudele paradosso insito nella premessa dello show. Lo studio del NIH ha notato che “i soggetti che mantenevano una maggiore perdita di peso a 6 anni sperimentavano anche un maggiore rallentamento metabolico concomitante”. Ciò significa che i concorrenti che avevano più “successo” nel mantenere il peso perso erano quelli i cui corpi reagivano più duramente, richiedendo loro di sopportare una penalità fisiologica più severa per mantenere i risultati. Questa scoperta ribalta completamente la narrazione semplicistica dello show di “vincitori” e “perdenti”. Inoltre, l’approccio “tutto naturale” dello show, basato su dieta e esercizio estremi, si è rivelato più dannoso per il metabolismo di un intervento chirurgico maggiore. La ricerca ha dimostrato che i pazienti sottoposti a bypass gastrico che hanno perso una quantità di peso paragonabile hanno sperimentato solo la metà dell’adattamento metabolico dei concorrenti di The Biggest Loser. Ciò suggerisce che il metodo dello show, lungi dall’essere un’alternativa salutare, potrebbe essere uno dei percorsi di perdita di peso più fisiologicamente dannosi mai resi popolari.
Il costo psicologico della trasformazione
Il tributo fisico documentato dalla scienza è stato rispecchiato da un profondo costo psicologico, sia per i partecipanti che per il pubblico. Ex concorrenti hanno parlato delle conseguenze mentali ed emotive a lungo termine dello show, tra cui lo sviluppo di disturbi alimentari, un’immagine corporea distorta e un bagaglio emotivo duraturo. L’esperienza non finiva quando le telecamere si spegnevano. La concorrente Kai Hibbard ha descritto l’ansia persistente di essere costantemente scrutata dal pubblico anni dopo, con estranei che guardavano nel suo carrello della spesa per giudicare le sue scelte alimentari. Per molti, la sensazione di essere celebrati per la loro perdita di peso e poi “abbandonati” e rifiutati dai produttori dello show quando il peso tornava ha portato a profondi sentimenti di “sconfitta e rifiuto”.
Oltre al danno ai partecipanti, la ricerca accademica indica che lo show ha avuto un impatto negativo sulla società in generale, rafforzando lo stigma legato al peso. Uno studio del 2012 ha scoperto che anche una breve esposizione a The Biggest Loser aumentava significativamente l’antipatia degli spettatori verso le persone in sovrappeso e rafforzava la loro convinzione che il peso sia interamente una questione di controllo personale, un caposaldo del pregiudizio sul peso. Un altro studio incentrato sugli adolescenti ha rilevato che guardare lo show aumentava gli atteggiamenti negativi verso gli individui obesi, potenzialmente alimentando la paura del grasso nei giovani spettatori. Ritrarre ripetutamente i suoi concorrenti in modi stereotipati — come pigri, emotivamente instabili o privi di forza di volontà prima della loro trasformazione — ha contribuito a una cultura tossica di body shaming.
Lo show ha effettivamente creato e tratto profitto da un dannoso circolo vizioso. È partito dal pregiudizio sociale preesistente contro l’obesità, lo ha amplificato per intrattenimento attraverso tattiche umilianti e sfide estenuanti, e poi ha trasmesso quello stigma intensificato a milioni di case. In tal modo, non è stato un attore neutrale che documentava un problema di salute, ma un partecipante attivo nel rendere l’ambiente culturale più ostile proprio per le persone che affermava di aiutare. L’intera struttura narrativa dello show può essere vista come una forma di rituale di umiliazione pubblica. I concorrenti venivano presentati attraverso confessioni lacrimose dei loro “peccati”, costretti a subire una “penitenza” pubblica in palestra, e poi giudicati durante le pesate settimanali, dove ricevevano lodi o venivano eliminati. Questa rappresentazione moralistica, che inquadrava una complessa condizione medica in termini di peccato e redenzione, era culturalmente risonante ma psicologicamente dannosa, specialmente quando la “salvezza” promessa di una perdita di peso permanente era, per molti, un’impossibilità biologica.
Un’eredità complicata riesaminata
Le critiche mosse in ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ non sono del tutto nuove. Durante la sua messa in onda, The Biggest Loser ha affrontato il controllo di professionisti della salute e critici che sostenevano che i suoi metodi fossero irrealistici, che la sua attenzione ai numeri del peso settimanale fosse malsana e che la sua premessa generale fosse più legata all’intrattenimento che al benessere. Ciò che rende significativo il nuovo documentario è il suo potenziale di centralizzare queste critiche di lunga data — combinando testimonianze dei concorrenti, ammissioni dei produttori e dati scientifici sottoposti a revisione paritaria — e di presentarle come una narrazione coesa e basata su prove a un vasto pubblico globale su Netflix.
Il titolo della serie, ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’, funziona come un doppio senso che racchiude questa critica centrale. A un livello, si riferisce all’obiettivo dei concorrenti di raggiungere uno stato fisico ritenuto presentabile per la televisione. A un livello più profondo, mette in discussione ciò che i produttori consideravano “adatto” — o idoneo — per la trasmissione. Il documentario sostiene che sofferenze estreme, rischi medici e manipolazione psicologica fossero tutti considerati “adatti alla TV” perché generavano un prodotto avvincente e redditizio. Il conflitto finale era tra l’essere fisicamente in forma e l’essere “adatti” alle esigenze della macchina della reality TV — due obiettivi che i metodi dello show potrebbero aver reso reciprocamente esclusivi.
The Biggest Loser rappresenta un caso di studio per un’era precedente della reality TV, in cui il dovere di diligenza verso i partecipanti era spesso secondario rispetto alla ricerca degli ascolti. Negli anni successivi al suo apice, è emersa una crescente richiesta di responsabilità e supervisione etica all’interno del settore, alimentata dagli esiti negativi ben documentati dei partecipanti a numerosi show. ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ è un prodotto di questo cambiamento. È sia uno sguardo al passato che un monito, suggerendo che l’industria è ora costretta a fare i conti con il suo passato. Il documentario lascia infine agli spettatori il compito di soppesare due eredità contrastanti. Una è lo status autoproclamato dello show come forza ispiratrice che ha cambiato la vita in meglio. L’altra è l’eredità presentata nel documentario: quella di danni metabolici duraturi, traumi psicologici e la perpetuazione di un dannoso stigma legato al peso. ‘Fit for TV: il lato oscuro di un reality’ non fornisce una risposta semplice, ma invita un pubblico moderno a riflettere sul vero costo di ciò che una volta era considerata televisione imperdibile.
La serie debutta su Netflix il 15 agosto 2025.