La nuova produzione in lingua spagnola Il rifugio atomico, originariamente intitolata El Refugio Atómico, è stata lanciata a livello globale su Netflix. La serie di otto episodi è l’ultimo progetto dei creatori Álex Pina ed Esther Martínez Lobato, la forza creativa dietro le produzioni di successo internazionale di Vancouver Media come La casa di carta, Sky Rojo e Berlino. La serie presenta una premessa ambiziosa, posizionandosi come un thriller di fantascienza che esamina un’ipotetica Terza Guerra Mondiale non dal fronte, ma dal comfort ermeticamente sigillato di un rifugio sotterraneo su misura, progettato per gli ultra-ricchi.
Una gabbia dorata alla fine del mondo
L’architettura narrativa della serie è costruita attorno a un’unica e claustrofobica ambientazione: il Kimera Underground Park. Mentre il conflitto globale si intensifica in superficie, un gruppo selezionato di multimilionari si ritira in questo rifugio antiatomico tecnologicamente avanzato, una città sotterranea autosufficiente progettata per ospitare più di 100 persone fino a un decennio. La struttura non è un bunker in senso tradizionale, ma piuttosto la replica di uno stile di vita d’élite, progettato per essere aspirazionale anziché opprimente. È dotato di servizi come un campo da basket, un ristorante con personale completo, un giardino zen, un cocktail bar, una palestra, una spa e persino servizi psicologici in loco. La struttura di classe del vecchio mondo è meticolosamente preservata, simboleggiata da uniformi con codice cromatico: blu per i proprietari e arancione per il personale.
Questo ambiente meticolosamente progettato, tuttavia, serve una funzione narrativa profondamente ironica. Gli abitanti possono assistere al crollo del mondo che un tempo dominavano su schermi, vedendo l’apocalisse come uno “spettacolo sconcertante”. Il vero conflitto della serie non è il cataclisma esterno, ma l’implosione psicologica e sociale interna che si verifica all’interno di questa gabbia dorata. Il motore drammatico centrale è una faida di lunga data tra due potenti famiglie, la cui storia irrisolta e i profondi risentimenti vengono amplificati dalla convivenza forzata. Il santuario, concepito come la massima espressione di privilegio e controllo, si trasforma rapidamente in una prigione emotiva. La serie postula che nessuna sofisticazione tecnologica o lusso materiale possa isolare i suoi personaggi dalla loro storia e dalle loro mancanze morali; hanno portato con sé i semi della propria distruzione nella loro presunta utopia.

La firma di Vancouver Media: un’inversione tematica
Il rifugio atomico è un prodotto distintivo della casa di produzione Vancouver Media e porta la riconoscibile firma autoriale di Pina e Martínez Lobato. Il loro corpus di opere è caratterizzato da thriller ad alta tensione e ad alto rischio che spesso esplorano le pressioni psicologiche della reclusione e l’ambiguità morale. La serie riunisce un team creativo familiare, inclusi i registi Jesús Colmenar e David Barrocal, che hanno già diretto episodi di altri progetti dei creatori. Il team di sceneggiatori al completo è composto da Pina, Martínez Lobato, David Barrocal, David Oliva, Lorena G. Maldonado e Humberto Ortega. La distintiva palette visiva è supervisionata dal visual designer Migue Amoedo, un altro frequente collaboratore, mentre la suggestiva colonna sonora è composta da Frank Montasell e Lucas Peire. L’obiettivo dichiarato dei creatori era quello di creare non solo una storia, ma un’esperienza immersiva per lo spettatore.
Tuttavia, la serie rappresenta anche una significativa inversione tematica del loro lavoro più noto. Mentre La casa di carta era incentrata su figure anti-sistema che combattevano contro un sistema finanziario globale, Il rifugio atomico sposta il suo focus sugli insider per eccellenza di quel sistema. Intrappolando gli architetti e i beneficiari del vecchio ordine mondiale in uno spazio confinato, la narrazione applica la formula della “pentola a pressione” dei creatori all’estremo opposto dello spettro sociale. Sposta la critica da un assalto esterno alle istituzioni a una dissezione interna degli individui che le rappresentano, esaminando ciò che resta del potere e del privilegio quando il mondo che li ha conferiti cessa di esistere.
Un cast corale sotto pressione
La serie è fondamentalmente un dramma psicologico guidato dai personaggi, che si affida a un solido cast corale per trasmettere le crescenti tensioni della narrazione. I ruoli principali sono interpretati da affermati attori spagnoli e argentini. Il cast è guidato da Miren Ibarguren, ampiamente nota per il suo vasto lavoro in popolari commedie televisive spagnole come Aída e La que se avecina; l’attore argentino Joaquín Furriel, riconosciuto per i suoi ruoli drammatici in Il suo regno e El jardín de bronce; Natalia Verbeke, con crediti notevoli tra cui il film di successo L’altro lato del letto e la serie Doctor Mateo; e Carlos Santos, vincitore di un Premio Goya per la sua interpretazione in L’uomo dai mille volti. A loro si uniscono Montse Guallar, Pau Simon, Alicia Falcó, Agustina Bisio e Álex Villazán. Le interpretazioni sono centrali per il progetto della serie di esplorare la “violenza sotterranea” che emerge in assenza di norme sociali. La narrazione spoglia i personaggi delle loro maschere sociali, esponendo le loro ambizioni, debolezze e segreti a lungo sepolti in un ambiente in cui la ricchezza è diventata un’astrazione e la sopravvivenza è l’unica valuta rimasta.

L’architettura visuale di una realtà mediata
L’estetica della produzione è una componente critica della sua narrazione. Il design visivo di Migue Amoedo evita l’aspetto cupo e desaturato tipico della narrativa post-apocalittica. Al contrario, il Kimera Underground Park è reso come uno spazio luminoso, opulento e meticolosamente progettato con un’atmosfera retro-futurista, attingendo al linguaggio visivo degli hotel di lusso e dei cataloghi di design nordico. Questa estetica raffinata crea un contrasto netto e inquietante con il decadimento psicologico dei suoi abitanti. Un elemento chiave per ottenere questo ambiente immersivo è l’ampio uso della tecnologia di produzione virtuale. Girata in parte presso il polo di produzione di Netflix a Tres Cantos, Madrid, la serie ha impiegato volumi LED su larga scala per creare proiezioni realistiche a 360 gradi. Questa scelta tecnica non è solo una comodità di produzione, ma funziona come una potente metafora dell’esistenza isolata dei personaggi. Amoedo ha sviluppato una tecnica che chiama “Aikido”, utilizzando la luce proveniente dagli stessi schermi LED — riflessa da specchi — per illuminare le scene, confondendo ulteriormente il confine tra il set e la proiezione. La produzione ha anche utilizzato l’IA come “acceleratore di pre-produzione” per generare concept art e creare gemelli digitali di location reali. Questo metodo rispecchia l’esperienza diegetica dei suoi personaggi, rafforzando il tema di una vita completamente distaccata e mediata dalla tecnologia.
Un mondo contenuto che riflette un presente frammentato
Il rifugio atomico si inserisce come un’opera notevole nel genere del thriller a porte chiuse, che utilizza un microcosmo per esplorare strutture sociali più ampie. Sebbene condivida un quadro concettuale con serie come Silo, il suo focus specifico sulle vite isolate degli ultra-ricchi offre una critica sociale distinta e attuale. La serie funziona come una satira pungente del privilegio d’élite, attingendo alle ansie contemporanee legate all’instabilità globale, all’estrema disparità di classe e alla “policrisi” di minacce geopolitiche e ambientali sovrapposte. Drammatizzando la tendenza reale dei miliardari a costruire rifugi di sopravvivenza privati, la narrazione sembra meno fantascienza lontana e più un’estrapolazione diretta del presente. È un’opera allegorica che suggerisce che l’apocalisse più terrificante non è quella che distrugge il mondo, ma quella che costringe gli individui a confrontarsi con se stessi tra le rovine. La serie di otto episodi è stata rilasciata a livello globale sulla piattaforma Netflix il 19 settembre 2025.