En el barro di Netflix: una rinascita brutale ed elementare per l’universo di El Marginal

08/08/2025 - 07:33 EDT
En el barro - Netflix
En el barro - Netflix

La prima mondiale di En el barro su Netflix segna oggi uno degli eventi più significativi del calendario televisivo internazionale. Questa serie argentina di otto episodi non arriva come un’entità a sé stante, ma come un attesissimo spin-off del crime drama acclamato dalla critica El Marginal, una produzione che ha ridefinito il genere carcerario con il suo crudo verismo e i suoi complessi studi sui personaggi. La nuova serie immerge gli spettatori nell’universo parallelo di un penitenziario femminile, La Quebrada, attraverso un catalizzatore narrativo di violenza estrema e improvvisa solidarietà. Un gruppo di detenute, la maggior parte delle quali nuove al sistema carcerario, sopravvive a un mortale incidente durante un trasferimento, emergendo da un fiume letteralmente e figurativamente battezzate nel fango, un evento che le forgia in un collettivo involontario ma necessario.

Sotto la guida del creatore Sebastián Ortega e di un team creativo profondamente radicato nella serie originale, En el barro sfrutta l’estetica cruda del suo predecessore, intraprendendo al contempo l’ambizioso compito di forgiare una propria identità distintiva. Un’analisi della sua premiere rivela una produzione che non è una mera estensione di un franchise di successo, ma un deliberato dialogo tematico e cinematografico con esso. La serie interroga i tropi consolidati del potere, della corruzione e della sopravvivenza attraverso una lente di genere, impiegando un sofisticato linguaggio visivo per esplorare come la comunità si formi non ai margini della società, ma dai suoi spazi più elementari e degradati.

En el barro
En el barro

La struttura architettonica: da San Onofre a La Quebrada

L’esistenza stessa di En el barro è una testimonianza della nuova economia dello streaming globale e del valore internazionale della narrazione argentina. La sua struttura produttiva e la sua leadership creativa rivelano una strategia calcolata per espandere un universo collaudato, approfondendone al contempo le tematiche.

Genealogia della produzione: l’universo di Ortega si espande

En el barro è una grande coproduzione internazionale che mobilita le risorse di Netflix, Underground Producciones (una divisione di Telemundo Studios) e della stessa Telemundo. Questa alleanza tripartita rappresenta un investimento sostanziale nel talento e nella proprietà intellettuale argentina, pensato per un pubblico mondiale. Il modello si basa direttamente sul successo di El Marginal, che ha ottenuto un enorme seguito internazionale dopo la sua acquisizione e distribuzione da parte di Netflix. La nuova serie è esplicitamente posizionata come un’espansione dell’universo narrativo di El Marginal, ma con una storia autoconclusiva che sposta l’attenzione su un carcere femminile. Questo approccio è strategicamente solido, mirando a mantenere la fedele base di fan dell’originale e a creare allo stesso tempo un nuovo punto di accesso per gli spettatori che non hanno familiarità con il clan Borges di San Onofre.

L’ambizione del progetto si riflette nella sua scala fisica. La produzione ha evitato location esistenti per costruire da zero la sua ambientazione principale. Le riprese si sono svolte in una vasta fabbrica alimentare dismessa a Buenos Aires, all’interno della quale è stato costruito l’intero penitenziario di La Quebrada. Questa decisione ha fornito ai realizzatori un ambiente completamente controllato, un mondo autonomo in cui ogni muro fatiscente e ogni sbarra arrugginita potevano essere meticolosamente progettati e illuminati. Gli uffici amministrativi della fabbrica sono stati riconvertiti a quartier generale della produzione, creando un apparato cinematografico altamente efficiente e immersivo che sottolinea il notevole budget e la portata del progetto.

La discendenza creativa: Sebastián Ortega e i suoi autori

La serie è ancorata alla visione singolare del suo creatore, Sebastián Ortega, una figura dominante nella televisione e nel cinema argentino contemporaneo. La filmografia di Ortega — che include non solo El Marginal ma anche il fondamentale dramma carcerario Tumberos (2002), la saga crime Historia de un clan (2015) e il lungometraggio L’angelo del crimine (2018) — dimostra una firma autoriale coerente. Il suo lavoro è caratterizzato da una rappresentazione iperrealistica e spesso brutale delle sottoculture criminali, da un fascino per la moralità fluida delle comunità emarginate e da un’esplorazione delle strutture familiari improvvisate che si formano in ambienti estremi.

Per realizzare questa visione, Ortega ha riunito un team che bilancia continuità e nuove prospettive. L’elenco dei registi è un chiaro indicatore di questa strategia:

  • Alejandro Ciancio è un architetto chiave dell’estetica di El Marginal, avendo diretto numerosi episodi nel corso delle sue cinque stagioni, così come la serie crime correlata Il segreto della famiglia Greco. Il suo coinvolgimento assicura una coerenza grammaticale visiva e tonale, ancorando la nuova serie al realismo senza compromessi dell’universo consolidato.
  • Mariano Ardanaz è un altro veterano di El Marginal e di altre produzioni di Ortega, consolidando ulteriormente la discendenza stilistica della serie. Il suo lavoro su drammi come Diario de un gigoló indica anche una competenza in narrazioni raffinate e incentrate sui personaggi, che potrebbero arricchire le dinamiche interpersonali più intime di En el barro.
  • Estela Cristiani, nota per aver diretto la serie La viuda de Rafael e il dramma musicale per giovani GO! Vivi a modo tuo, rappresenta un allontanamento dal genere crime duro e puro. La sua inclusione suggerisce una deliberata intenzione di concentrarsi più a fondo sugli archi emotivi e sulle complesse relazioni tra i personaggi femminili, in particolare le detenute più giovani.

Questa miscela registica si riflette nella stanza degli sceneggiatori, uno sforzo collaborativo tra Ortega, Silvina Frejdkes, Alejandro Quesada e Omar Quiroga. Questo approccio di squadra è un marchio di fabbrica della Underground Producciones di Ortega, che promuove un ambiente simile a un laboratorio per lo sviluppo narrativo.

La scelta di creare uno spin-off incentrato sulle donne con questo specifico team creativo è più di una decisione commerciale per sfruttare una proprietà popolare. Significa uno sforzo artistico consapevole di rifrangere i temi consolidati di El Marginal attraverso un nuovo prisma. Il mondo di San Onofre era fondamentalmente maschile, i suoi conflitti e le sue strutture di potere definiti da gerarchie patriarcali, dalla leadership familiare della banda dei fratelli Borges all’autorità statale corrotta del direttore. Spostando la narrazione in un carcere femminile, Ortega e il suo team sono costretti a esplorare come queste dinamiche di potere, corruzione e sopravvivenza si manifestino in modo diverso. È meno probabile che i conflitti si risolvano con la forza bruta e più probabile che coinvolgano intricate guerre psicologiche, mutevoli alleanze sociali e forme alternative di resilienza.

L’evoluzione è codificata nel titolo della serie. Un passaggio da El Marginal (L’Emarginato) a En el barro (Nel fango) è una profonda dichiarazione tematica. “Marginale” definisce una persona in base alla sua posizione rispetto a un centro sociale; è un termine di esclusione. “Nel fango”, tuttavia, suggerisce una condizione più elementare e primordiale. È uno stato di degradazione e di stallo, ma anche un luogo di creazione e informe, che evoca l’argilla primordiale da cui emerge la vita. Questo segnala una narrazione che non si occupa solo di sopravvivere ai margini, ma della costruzione stessa dell’identità dalle fondamenta. La serie entra così in un dialogo diretto con la sua predecessora, ponendo domande critiche: come si presenta la sopravvivenza quando il patriarcato di San Onofre è soppiantato da un sistema di potere diverso, forse matriarcale o semplicemente più anarchico? Come si forgia la comunità tra donne in un’istituzione progettata per atomizzarle e spezzarle?

Le abitanti di La Quebrada: casting e caratterizzazione

La popolazione di La Quebrada è un ensemble meticolosamente assemblato che mescola volti familiari e nuove leve, riflettendo una strategia sofisticata per radicare la serie nelle sue origini argentine, progettando al contempo il suo appeal per un mercato globale.

La nascita de “Le infangate”: una nuova sorellanza

Il motore narrativo della serie è la formazione di una nuova “tribù” forgiata nel trauma. Le cinque donne che sopravvivono allo schianto del veicolo di trasferimento in un fiume diventano un’unità, il loro legame sigillato da un’esperienza di pre-morte condivisa. La loro identità collettiva, “Las embarradas” (Le infangate), nasce direttamente da questo battesimo violento, un nome che significa sia la loro condizione degradata sia le loro origini elementari.

Il gruppo è uno spaccato dell’esperienza carceraria:

  • Gladys “La Borges” Guerra (Ana Garibaldi): Personaggio con una storia nell’universo di El Marginal, Gladys fornisce il ponte narrativo cruciale con la serie originale. Precedentemente una figura secondaria, ora viene elevata a protagonista. Come donna con esperienza nel mondo “tumbero” (carcerario), si trova spinta nel ruolo di leader riluttante per le sopravvissute inesperte.
  • Le neofite: Il resto del gruppo principale è composto da detenute senza precedenti penitenziari, un classico espediente narrativo che permette al pubblico di apprendere le brutali regole di La Quebrada insieme ai personaggi. Questo ensemble include figure interpretate dalla star internazionale Valentina Zenere (Élite), dall’attrice colombiana Carolina Ramírez e dalla veterana del palcoscenico e dello schermo argentino Lorena Vega.
  • Le antagoniste: La principale fonte di conflitto proviene dalle “tribù” consolidate che già controllano l’ecosistema della prigione. “Le infangate” devono resistere per non essere assorbite o distrutte da queste strutture di potere preesistenti. Figure chiave in questo ambiente ostile includono Cecilia Moranzón, interpretata dalla venerata attrice argentina Rita Cortese, che sembra essere una formidabile matriarca della prigione, e Amparo Vilches, un personaggio interpretato dall’attrice spagnola Ana Rujas, che ha descritto il suo ruolo come quello di “una vera e propria cattiva”.

Echi di San Onofre e nuove leve strategiche

Per rafforzare il legame con la serie madre, En el barro presenta il ritorno di personaggi chiave di El Marginal. Il cinico e profondamente corrotto funzionario carcerario Sergio Antín (Gerardo Romano) è una figura di spicco, a conferma che il marciume sistemico rappresentato nel carcere maschile è endemico dell’intero sistema penitenziario. Inoltre, le notizie indicano il ritorno del protagonista originale Juan Minujín (Pastor) e di Maite Lanata (Luna), suggerendo la possibilità di significative trame incrociate che intrecceranno le due serie in modo più stretto.

Accanto a questi veterani, la produzione ha fatto diverse scelte di casting di alto profilo, pensate per generare interesse e ampliare il pubblico della serie. La più notevole è il debutto come attrice di María Becerra, una delle più grandi pop star argentine contemporanee. Il suo ruolo, che secondo quanto riferito include una tanto discussa “scena piccante” con il personaggio di Valentina Zenere e un contributo alla colonna sonora, è una mossa di marketing calcolata per catturare l’attenzione del suo vasto seguito giovanile e generare una copertura mediatica ben oltre la tipica sfera televisiva. Il casting di Zenere, un volto riconosciuto a livello globale dal successo di Netflix Élite, e dell’attrice spagnola Ana Rujas, è una strategia chiara e deliberata per rafforzare l’appeal della serie nei principali mercati internazionali, in particolare in Spagna e in tutta Europa.

Cast principale e team creativo

La serie è una grande coproduzione internazionale tra Netflix, Underground Producciones (una divisione di Telemundo Studios) e la stessa Telemundo. Il team creativo è guidato dal creatore Sebastián Ortega, una figura di spicco nel crime drama argentino, noto per El Marginal, Tumberos e Historia de un clan. Le sceneggiature sono state sviluppate da un team collaborativo che include Ortega, Silvina Frejdkes, Alejandro Quesada e Omar Quiroga. Il team di regia comprende i veterani di El Marginal Alejandro Ciancio e Mariano Ardanaz, affiancati da Estela Cristiani. L’identità visiva della serie è plasmata dai direttori della fotografia Miguel Abal, un decorato direttore della fotografia cinematografica, e Sergio Dotta, che ha lavorato anche a El Marginal. La colonna sonora è composta da Juan Ignacio Bouscayrol. Il cast corale è guidato da Ana Garibaldi (Gladys Guerra), Valentina Zenere (Marina), Rita Cortese (Cecilia Moranzón), Lorena Vega, Marcelo Subiotto, Carolina Ramírez e Ana Rujas (Amparo Vilches). A loro si uniscono gli attori di ritorno da El Marginal Gerardo Romano (Sergio Antín) e Juan Minujín (Pastor), con apparizioni speciali della pop star María Becerra e dell’attore Martín Rodríguez (Griselda).

Il casting di En el barro funziona come un microcosmo della strategia di contenuti globali contemporanea di Netflix. Non è un insieme casuale di attori, ma un ensemble meticolosamente ingegnerizzato, progettato per bilanciare l’autenticità locale con la commerciabilità internazionale. Il fondamento di questa strategia si basa sulla credibilità del suo cast argentino. La presenza di attori venerati come Rita Cortese, Marcelo Subiotto e Ana Garibaldi, insieme ai membri del cast di ritorno di El Marginal, radica la serie nel suo specifico milieu culturale e garantisce la lealtà del pubblico nazionale e della base di fan originale. Questa è la base di autenticità su cui è costruita la struttura globale. Il livello successivo è un ponte verso un pubblico più giovane e internazionale. Il casting di Valentina Zenere, una star del fenomeno globale di Netflix Élite, fornisce un punto di riferimento familiare per un vasto pubblico di adolescenti e giovani adulti che potrebbero non avere alcuna conoscenza pregressa di El Marginal. Il suo coinvolgimento è un canale diretto verso quel pubblico. Il terzo livello è l’aggancio “evento”: il casting di María Becerra. Il suo debutto come attrice è una notizia a sé stante, progettata per generare velocità sui social media e una copertura mediatica ben al di fuori dei confini della critica televisiva, attirando così un vasto pubblico dal mondo della musica popolare. Infine, l’inclusione dell’attrice spagnola Ana Rujas in un ruolo chiave di antagonista è una mossa mirata per aumentare la risonanza della serie in Spagna, un mercato europeo cruciale per la piattaforma di streaming. Questo approccio a più livelli rivela una sofisticata comprensione della segmentazione del pubblico moderno, creando un prodotto “glocal” progettato per soddisfare simultaneamente diverse fasce di pubblico: i fedelissimi locali, i giovani globali, gli appassionati di musica e specifici territori internazionali.

Un battesimo di fango: decostruire il linguaggio cinematografico della premiere

L’episodio di apertura di En el barro funge da potente dichiarazione di intenti, stabilendo il suo tono brutale e la sua grammatica visiva attraverso una sequenza iniziale magistralmente eseguita e una costruzione deliberata del suo mondo.

L’incidente scatenante: uno studio sul caos controllato

La serie si apre con l’evento scatenante: il trasferimento di Gladys Guerra e altre detenute al carcere di La Quebrada viene violentemente assalito e il loro veicolo finisce in un fiume. Questa sequenza è un tour de force tecnico di caos controllato. La regia impiega una camera a mano immersiva dall’interno del veicolo per trasmettere il panico crescente e il disorientamento delle detenute mentre l’acqua inonda il compartimento. Questa prospettiva claustrofobica è probabilmente contrapposta a campi lunghi netti e oggettivi del furgone inghiottito dall’acqua fangosa, sottolineando la definitività della loro discesa.

Il disegno del suono è fondamentale per l’efficacia della scena. La cacofonia diegetica dell’attacco — spari, vetri infranti, urla — lascia il posto a un orrore subacqueo e ovattato. Il paesaggio sonoro diventa un’espressione terrificante e intima dell’esperienza di pre-morte dei personaggi, dove il mondo è ridotto al suono di corpi che lottano e alla pressione delle profondità. Questo approccio, che utilizza suoni d’atmosfera intensificati e spesso sgradevoli per indurre ansia e defamiliarizzare l’ambiente, ricorda la filosofia sonora dell’acclamata regista argentina Lucrecia Martel in opere come La ciénaga. L’eventuale emersione delle sopravvissute sulla riva del fiume, con i loro ansimi che rompono il silenzio acquatico, fornisce un potente rilascio uditivo ed emotivo, segnando la loro rinascita.

Messa in scena e costruzione del mondo: la texture di La Quebrada

Il carcere di La Quebrada si afferma come un personaggio a sé stante, la cui identità è plasmata dalla sua storia di fabbrica riconvertita. Questa genesi industriale permea la messa in scena. Il mondo visivo della prigione è fatto di spazi cavernosi e in decadenza, con un linguaggio di ruggine, vernice scrostata e cemento freddo. Questo purgatorio artificiale si contrappone nettamente al fango organico e primordiale della sequenza iniziale, creando un mondo che è allo stesso tempo spietatamente artificiale e attivamente in decomposizione.

La fotografia, curata da Miguel Abal e Sergio Dotta, è essenziale per realizzare questa visione. Il lavoro di Dotta su El Marginal suggerisce una continuazione della sua estetica distintiva: una palette desaturata e ad alto contrasto che enfatizza la grana e la matericità. Abal, un veterano direttore della fotografia cinematografica, potrebbe introdurre una qualità più composta, quasi pittorica, in alcune inquadrature, creando una tensione visiva tra l’immediatezza cruda in stile documentaristico e un espressionismo cinematografico più deliberato. La palette di colori è dominata da ocre, grigi e marroni, rafforzando visivamente il motivo centrale del “barro” (fango).

Seguendo la tradizione del grande cinema argentino, lo sguardo della macchina da presa è intensamente corporeo. La premiere è ricca di immagini tattili: primi piani estremi sulla pelle incrostata di fango, la ruvida consistenza delle uniformi carcerarie contro il corpo, la pura fisicità della sopravvivenza. Questo non è gratuito, ma è inteso a promuovere una forma di spettatorialità incarnata, costringendo il pubblico a sentire la sporcizia, il freddo e la matericità di questo mondo. Questa attenzione al corpo come paesaggio dell’esperienza — un luogo di dolore, sporcizia e abiezione — è una tecnica chiave per spostare il luogo della conoscenza dall’intelletto a una comprensione più viscerale e corporea.

Ritmo, montaggio e colonna sonora

Il ritmo dell’episodio di apertura è costruito su forti contrasti. L’energia cinetica e frenetica dello schianto iniziale lascia il posto a un ritmo più lento e osservativo, mentre le sopravvissute, stordite, devono decifrare i complessi e minacciosi codici sociali della prigione. Questo cambio di passo rispecchia il viaggio psicologico dei personaggi stessi, dal puro istinto di sopravvivenza all’alba dell’orrore della loro nuova realtà. La colonna sonora di Juan Ignacio Bouscayrol, noto per il suo lavoro su film argentini indipendenti, è cruciale nel modulare questo tono. È una partitura minimalista, atmosferica e spesso percussiva che aumenta la tensione e il disagio piuttosto che telegrafare l’emozione, un marchio di fabbrica dei thriller di prestigio contemporanei.

Risonanza tematica: la società in un microcosmo

Oltre alle sue emozioni viscerali e alla sua raffinatezza tecnica, En el barro è una serie ricca di ambizione tematica. Utilizza il microcosmo della prigione per esplorare complesse questioni sociali e filosofiche, riformulando le preoccupazioni centrali del suo predecessore attraverso una nuova prospettiva, distintamente femminile.

Lo sguardo femminile in un universo maschile

La serie riorienta fondamentalmente i temi di El Marginal ponendo al centro l’esperienza femminile. Approfondisce il modo in cui le donne navigano in un sistema di violenza e controllo che è spesso architettato da e per gli uomini. La narrazione è profondamente investita nell’esplorazione della formazione di alleanze femminili, delle manifestazioni uniche di potere e gerarchia tra le donne e del specifico tributo psicologico che l’incarcerazione impone loro. Questo focus tematico si collega a una potente corrente nelle arti latinoamericane contemporanee, che affronta sempre più questioni di discriminazione di genere e mette in primo piano narrazioni di resistenza femminista. Nel suo contesto brutale e confinato, la serie esamina i “nuovi ruoli… che la donna assume nella sua decisione di integrarsi nella storia”, anche se quella storia viene scritta nel cortile di una prigione.

Il corpo politico e il corpo dolente

Il motivo centrale e ricorrente del “fango” opera su molteplici livelli simbolici. Rappresenta una cancellazione forzata delle identità passate, una spoliazione violenta del sé che riduce i personaggi a uno stato primordiale e indifferenziato da cui deve nascere un nuovo collettivo. L’atto fisico di essere “infangate” è un battesimo traumatico che lega irrevocabilmente le protagoniste. La serie utilizza il corpo fisico come tela principale per i suoi temi. Il trauma dell’incidente, la minaccia quotidiana della violenza e la lotta per la sopravvivenza rendono il corpo un luogo di profondo dolore e vulnerabilità. Eppure, è anche il luogo della resilienza, dell’adattamento e, in definitiva, della resistenza. Questo si allinea con le tradizioni artistiche che utilizzano il corpo per esplorare lotte sociali e politiche più ampie, dove il dolore individuale riflette una condizione collettiva.

La serie rappresenta una significativa evoluzione tematica rispetto al suo predecessore, spostando la sua metafora centrale dalla marginalizzazione sociale alla resistenza fondativa. Questo cambiamento sottile ma cruciale suggerisce una visione del cambiamento sociale più profonda e forse più speranzosa, sebbene brutale. Il titolo stesso di El Marginal definiva i suoi personaggi in base alla loro relazione con l’ordine sociale; esistevano alla periferia, e la loro lotta consisteva nel ritagliarsi potere e significato all’interno di quello spazio liminale. Erano definiti dalla loro esclusione. En el barro, al contrario, inizia con un crollo letterale e figurato. Il trasporto affonda, il vecchio mondo viene spazzato via e i personaggi vengono riportati a uno stato primordiale, coperti dalla terra stessa. Non sono ai margini; sono a un nuovo punto zero. Il nome che hanno scelto, “Las embarradas”, non riguarda l’essere estranee; parla della loro stessa sostanza. Sono “Le infangate”. Questo invoca un mito della creazione, un nuovo inizio dagli elementi più basilari. Ciò risuona profondamente con le tradizioni letterarie e culturali latinoamericane in cui il “barro” (fango o argilla) è una sostanza di creazione, ma anche di povertà, lotta e della realtà terrena degli oppressi. Questo riformula l’intero concetto di resistenza. In El Marginal, la resistenza era spesso un gioco di potere cinico e transazionale. In En el barro, la formazione del gruppo è un atto di pura sopravvivenza che si evolve organicamente in un’identità collettiva. È una resistenza che non nasce dall’ambizione, ma da un’umanità condivisa scoperta nelle circostanze più disumane. Questo riecheggia le narrazioni storiche della resistenza popolare, in cui nuove forme di solidarietà emergono dal crogiolo dell’oppressione condivisa. La serie, quindi, sembra avanzare un argomento più fondamentale: che i legami sociali veramente trasformativi non si forgiano sfidando un centro dai margini, ma nascono dalla completa dissoluzione del vecchio ordine, dal fango della crisi.

Una base brutale e promettente

En el barro debutta come una serie sicura di sé, cinematograficamente sofisticata e brutalmente schietta. Eredita con successo l’estetica cruda e il DNA tematico di El Marginal, stabilendo al contempo in modo deciso il proprio territorio narrativo, distintivo e incentrato sulle donne. L’episodio di apertura funge da potente dichiarazione di intenti, utilizzando il suo viscerale incidente scatenante per gettare le basi di una complessa esplorazione del trauma, della sopravvivenza e della forgiatura di una nuova identità collettiva di fronte all’ostilità sistemica. La regia è sicura, i valori di produzione sono eccezionalmente alti per il genere e il cast corale dimostra una chimica immediata e avvincente.

Pur rendendo omaggio alla sua celebre discendenza, En el barro non si accontenta chiaramente di essere una semplice ripetizione. Immergendo i suoi personaggi, e per estensione il suo pubblico, nel “barro” elementare, pone una domanda più profonda e urgente. Va oltre il chiedere come si sopravvive ai margini di un sistema rotto e interroga invece come un nuovo mondo — con nuovi codici, nuove lealtà e nuove forme di solidarietà — possa essere costruito dalle macerie del vecchio. La serie ha gettato una base formidabile e sanguinosa per quello che promette di essere uno dei drammi più avvincenti e tematicamente ricchi dell’anno.

La serie di otto episodi è stata rilasciata a livello globale su Netflix il 14 agosto 2025.

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