‘Bad Boy’ su Netflix affronta il riformatorio giovanile con umorismo, sarcasmo e realismo

Ispirata alla straziante gioventù del co-creatore Daniel Chen, l'acclamata serie israeliana arriva a livello globale, esplorando la sopravvivenza, la redenzione e la lunga ombra del passato.
02/05/2025 - 06:01 EDT
Bad Boy - Netflix
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Realismo, umorismo sarcastico e riformatori giovanili: questi sono i biglietti da visita di “Bad Boy”, una serie che arriva ora su Netflix con le credenziali di un creatore di successo, Ron Leshem, motivo più che sufficiente per darle una possibilità. Inoltre, bastano pochi minuti per rendersi conto che la serie possiede qualità nella sceneggiatura, nell’estetica ed è narrata in modo originale, crudo ma allo stesso tempo divertente e ironico.

Proveniente da Israele, questa serie drammatica in otto episodi vanta un pedigree significativo, co-creata da Ron Leshem, la mente dietro la serie originale “Euphoria” (2019) che ha generato il fenomeno globale della HBO, e dalla cineasta Hagar Ben-Asher, nota per opere come “The Slut” e “Dead Women Walking”.

La serie si immerge nella vita di Dean Scheinman, un comico di successo i cui traguardi attuali sono costantemente minacciati dal trauma irrisolto del suo passato: anni rinchiuso in un brutale centro di detenzione giovanile. Aggiungendo un profondo strato di autenticità, “Bad Boy” è ispirata alla storia vera del suo co-creatore, co-sceneggiatore e protagonista, Daniel Chen, che interpreta la versione adulta del protagonista, basandosi direttamente sulle proprie esperienze all’interno del sistema di giustizia minorile israeliano.

Già elogiata nel suo paese d’origine, “Bad Boy” arriva sulla scena mondiale con un notevole peso critico. Dopo essere stata presentata in anteprima al prestigioso Toronto International Film Festival (TIFF) nel 2023 e aver ottenuto un “enorme successo” durante la sua trasmissione sull’emittente israeliana HOT a partire da novembre 2024, la serie ha trionfato agli Israeli Academy Awards del 2025.

Bad Boy - Netflix
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I due Dean: Navigare una vita frammentata

“Bad Boy” si sviluppa attraverso due linee temporali distinte, intrecciando costantemente passato e presente per dipingere un ritratto complesso del suo protagonista, Dean Scheinman.

Nel passato, conosciamo Dean come un ragazzino di 13 anni (interpretato con vulnerabilità da Guy Manster), bruscamente strappato alla sua casa dagli agenti penitenziari e gettato nella cupa realtà, simile a una fortezza, di un centro di detenzione giovanile. Descritto come “mordace”, “sveglio e arguto”, Dean impara rapidamente che il suo umorismo e la sua intelligenza sono spade a doppio taglio: strumenti per la sopravvivenza in un ambiente brutale, ma anche fonti di potenziale conflitto. Il centro è un luogo progettato per spezzare i suoi abitanti, segnato dalla violenza fin dall’inizio. Qui, Dean forma un legame cruciale e complesso con Zion Zoro (Havtamo Farda), un compagno di detenzione considerato dagli altri un misterioso assassino a sangue freddo che sconta una pena per omicidio. Navigare in questo mondo implica avere a che fare con figure come l’elegantemente intelligente direttrice della prigione Heli (Liraz Chamami) e gestire l’amore complicato della sua problematica madre, Tamara (Neta Plotnik).

Accostata a questo duro passato c’è la vita presente di Dean come comico di stand-up di successo, interpretato dallo stesso Daniel Chen. Sebbene la sua comicità approfondisca parti della sua storia, Dean continua disperatamente a mantenere l’intera portata della sua detenzione giovanile come un segreto gelosamente custodito. La tensione centrale della serie risiede in questo precario equilibrio: i traumi irrisolti e i segreti sepolti del suo tempo dietro le sbarre minacciano costantemente di riemergere e mandare in frantumi la vita che ha meticolosamente costruito.

La storia vera dietro ‘Bad Boy’

La forza cruda di “Bad Boy” proviene direttamente dalle sue radici nell’esperienza vissuta. La serie è esplicitamente “ispirata a fatti reali”, attingendo pesantemente alla vita del co-creatore Daniel Chen. Chen ha trascorso una parte significativa della sua giovinezza – le fonti menzionano sia quattro che sei anni – entrando e uscendo da varie istituzioni per delinquenti minorili in Israele. Ha parlato apertamente delle circostanze che hanno portato alla sua incarcerazione, citando l’essere cresciuto senza padre, una madre non sempre presente, iperattività e una mancanza di limiti che hanno portato a internamenti sempre più severi, culminati in una vera e propria prigione. Il suo percorso è stato irto di difficoltà; ha ammesso di essere stato arrestato di nuovo solo due giorni dopo un rilascio per aver aggredito un altro giovane con un coltello, descrivendo la prigione come un luogo che “mette alla prova i tuoi limiti”. Sorprendentemente, è stato proprio in prigione che ha scoperto la scrittura e la recitazione, trovando una via d’uscita creativa.

Il progetto si è concretizzato quando Chen ha collaborato con Ron Leshem. Leshem, ex giornalista investigativo, ha portato il suo fascino di lunga data per l’argomento. Vent’anni prima, ispirato da reportage su bambini nati in prigione – individui che sentiva “nati in un destino e a cui non era stata data la possibilità di un destino alternativo” – aveva scritto una storia su giovani preadolescenti incarcerati insieme a criminali adolescenti più grandi e incalliti.

Il fatto che l’individuo la cui vita ispira la serie sia anche co-creatore, co-sceneggiatore e protagonista nel ruolo della versione adulta di se stesso, infonde a “Bad Boy” uno strato di autenticità. Crea un potente ciclo di feedback tra esperienza vissuta, interpretazione creativa e recitazione, che probabilmente si traduce in un’onestà emotiva cruda raramente vista in televisione.

Tuttavia, la serie non è unicamente la storia di Chen adattata direttamente. Rappresenta una genesi collaborativa, mescolando la realtà di Chen con gli interessi tematici e i concetti narrativi di Leshem. Il coinvolgimento di un team di sceneggiatori più ampio, tra cui Roy Florentine, Moshe Malka, Amit Cohen e Daniel Amsel, suggerisce ulteriormente uno sforzo collettivo nel plasmare la narrazione finale, arricchendo la storia personale con molteplici prospettive creative.

I creatori

A guidare “Bad Boy” c’è un trio di figure creative chiave, ognuna delle quali apporta un’esperienza distinta al progetto. Ron Leshem agisce come showrunner, co-creatore e co-sceneggiatore, attingendo alla sua vasta esperienza in serie acclamate come “Euphoria”, “Valley of Tears” e “No Man’s Land”. Il suo curriculum con narrazioni complesse, spesso oscure e incentrate sui personaggi, fornisce una solida base per la serie.

Hagar Ben-Asher assume il ruolo cruciale di dirigere l’intera serie di otto episodi, oltre a co-creare e co-scrivere. Il suo lavoro precedente, tra cui “The Slut” e “Dead Women Walking”, dimostra una capacità di gestire temi impegnativi e studi intimi dei personaggi. Avere un unico regista al comando di tutti gli episodi assicura una coerenza visiva e tonale unificata, vitale per navigare le doppie linee temporali e le complessità emotive della serie.

A completare il trio centrale c’è Daniel Chen, il cui ruolo poliedrico come co-creatore, co-sceneggiatore, protagonista (nel ruolo di Dean adulto) e l’ispirazione stessa della serie è centrale per la sua identità. La sua partecipazione radica la narrazione in una realtà innegabile.

Il cast vanta Guy Manster che offre quella che promette essere un’interpretazione rivelatrice nel ruolo del giovane Dean, accanto a Havtamo Farda nel ruolo dell’enigmatico Zion. Gli attori secondari includono Liraz Chamami nel ruolo della direttrice Heli e Neta Plotnik nel ruolo della madre di Dean, Tamara. È degno di nota che molti membri del cast, in particolare gli attori più giovani come Manster e Farda, non sono professionisti e recitano per la prima volta.

La serie è una coproduzione internazionale, una collaborazione tra lo studio globale Sipur e The North Road Company di Peter Chernin (segnando la prima coproduzione internazionale di North Road), insieme all’emittente israeliana HOT e Tedy Productions.

La nostra opinione

Come è successo con Euphoria, siamo francamente sorpresi dalla qualità e dall’originalità della serie. All’inizio pensi: una serie su un riformatorio? Non invoglia molto vedere un dramma giovanile, no.

Ma la nostra percezione cambia dopo aver visto pochi minuti: umorismo, realtà ma, soprattutto, qualità cinematografica e, in particolare, nella sceneggiatura. Come in Euphoria, è una visione complessa della realtà, con umorismo, stile, moderna e che non ci dà tutte le risposte: non c’è moralismo spicciolo né lezioni di vita televisive: qui c’è realtà che, intessuta con qualità cinematografica, riesce a intrappolare lo spettatore nelle sue reti di personaggi complessi.

Vale la pena? Sì, certamente, per la sua qualità, la sua storia e, soprattutto, per i suoi personaggi e il modo in cui è raccontata.

Dove guardare “Bad Boy”

Netflix

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