Netflix ci propone “American Terror: l’attentato di Oklahoma City”, un documentario diretto da Greg Tillman che, a trent’anni dall’atto terroristico più mortale che ha scosso il cuore del Paese, rimane ancora vivo nella psiche collettiva. Il documentario va oltre gli orribili eventi di quella giornata per analizzare le tendenze antigovernative che alimentarono l’attentato, sollevando domande inquietanti sulla persistenza di tale estremismo nell’America di oggi.
Il giorno in cui il cuore del Paese sanguinò
Alle 9:02 di mattina di quello che iniziò come un luminoso mercoledì di primavera a Oklahoma City, un camion Ryder noleggiato e carico di una bomba devastante esplose davanti all’edificio federale Alfred P. Murrah. L’esplosione, orchestrata dall’ex soldato dell’esercito statunitense Timothy McVeigh con l’aiuto di Terry Nichols, sventrò l’edificio di nove piani, riducendo istantaneamente un terzo di esso a macerie e piani schiacciati. Il costo umano fu catastrofico: 168 persone persero la vita, tra cui 19 bambini, molti dei quali si trovavano nell’asilo nido al secondo piano dell’edificio. La vittima più giovane aveva solo quattro mesi. Più di 684 persone rimasero ferite, alcune in modo grave. L’esplosione, causata da una bomba stimata tra le 4000 e le 5000 libbre, fabbricata con fertilizzante a base di nitrato di ammonio e olio combustibile, fu avvertita a chilometri di distanza, lasciando il centro di Oklahoma City simile a un campo di battaglia. Più di 300 edifici vicini furono danneggiati o distrutti, e il costo finanziario superò i 650 milioni di dollari. Subito dopo, tra fumo, sirene e caos, i sospetti si diressero inizialmente verso gruppi terroristici internazionali, riflettendo i timori scatenati dall’attentato al World Trade Center del 1993. Tuttavia, presto si rivelò la realtà agghiacciante: si trattava di un attacco perpetrato sul suolo nazionale, la manifestazione più mortale del terrorismo interno nella storia degli Stati Uniti.
I semi dell’odio: Waco, Ruby Ridge e l’ascesa della furia antigovernativa
“American Terror: l’attentato di Oklahoma City” sostiene in modo convincente che l’attentato di Oklahoma City non avvenne nel vuoto. Traccia meticolosamente le radici dell’attacco fino a una corrente specifica e virulenta di estremismo antigovernativo fiorita all’inizio degli anni ’90, alimentata da eventi che divennero grida di battaglia per la destra radicale e il nascente movimento delle milizie. Il documentario evidenzia due incidenti fondamentali: lo scontro mortale dell’FBI con la famiglia Weaver a Ruby Ridge, Idaho, e l’epilogo violento dell’assedio di 51 giorni al complesso della setta dei Davidiani a Waco, Texas, avvenuto esattamente due anni prima dell’attentato di Oklahoma City. McVeigh, un veterano della Guerra del Golfo sempre più disilluso nei confronti del governo federale, visitò il luogo durante e dopo l’assedio. Lui, insieme a Nichols e altri membri del movimento delle milizie, consideravano Ruby Ridge e Waco come prove di un governo tirannico che combatteva una guerra contro i propri cittadini, in particolare contro coloro che esercitavano i loro diritti sanciti dal Secondo Emendamento. Questa narrativa fu amplificata da teorie cospirative su un imminente “Nuovo Ordine Mondiale” e dai timori alimentati da misure di controllo delle armi come la legge Brady. McVeigh vedeva gli agenti federali come soldati e scelse l’edificio Murrah, che ospitava agenzie come l’ATF, la DEA e il Secret Service, come obiettivo per colpire il loro centro di comando. “American Terror: l’attentato di Oklahoma City” ritrae efficacemente come questi eventi specifici, filtrati attraverso una lente di paranoia e letteratura estremista come The Turner Diaries, trasformarono il sentimento antigovernativo di McVeigh in una determinazione assassina.
La caccia all’uomo e l’ombra della cospirazione
Il documentario narra l’indagine su larga scala dell’FBI, nome in codice “OKBOMB”, che alla fine coinvolse decine di migliaia di interviste e piste, accumulando tonnellate di prove. La narrazione sottolinea come il caso sia stato risolto grazie a una combinazione di meticoloso lavoro forense e una straordinaria casualità. Una prova cruciale emerse il giorno successivo all’attentato, quando gli investigatori recuperarono l’asse posteriore del camion Ryder, permettendo di ottenere il numero di identificazione del veicolo (VIN) che li portò a un’agenzia di noleggio a Junction City, Kansas. Le descrizioni dei testimoni oculari dell’agenzia di noleggio aiutarono a creare un identikit del locatario, identificato dal personale di un hotel locale come “Tim McVeigh”. Il fattore caso si rivelò altrettanto decisivo. Appena 90 minuti dopo l’esplosione, l’agente della Polizia Stradale dell’Oklahoma Charlie Hanger fermò una Mercury Marquis gialla che viaggiava senza targa a circa 130 km a nord di Oklahoma City. Il conducente, Timothy McVeigh, fu arrestato per porto d’arma nascosta. Quando l’FBI collegò il nome del locatario a McVeigh il giorno seguente, scoprì che il loro principale sospettato era già in custodia, a poche ore dal rilascio. Questo arresto fortuito fu decisivo, poiché le prove trovate sugli abiti di McVeigh al momento dell’arresto contenevano tracce delle sostanze chimiche utilizzate nella bomba. L’indagine scoprì rapidamente la cospirazione, identificando il commilitone di McVeigh, Terry Nichols, come complice chiave che aiutò ad acquisire i materiali e a fabbricare la bomba. Un altro amico dell’esercito, Michael Fortier, era a conoscenza del complotto e in seguito testimoniò contro McVeigh e Nichols in cambio di una riduzione della pena. “American Terror: l’attentato di Oklahoma City” riconosce anche, sebbene forse non vi si soffermi, le persistenti teorie cospirative che hanno offuscato la versione ufficiale per decenni: domande su altri complici (“John Doe #2”), presunti legami con complessi suprematisti bianchi come Elohim City, o persino il coinvolgimento di stranieri. Sebbene il documentario sembri aderire in gran parte alle conclusioni dell’indagine ufficiale, la sua esplorazione delle connessioni di McVeigh con il movimento estremista più ampio tocca implicitamente gli aspetti oscuri e le domande senza risposta che continuano ad alimentare le teorie alternative, lasciando lo spettatore nel dubbio sulla portata totale della rete che ha sostenuto il percorso di McVeigh verso la violenza.
Le cicatrici rimaste: voci dei sopravvissuti e dei defunti
Dove “American Terror: l’attentato di Oklahoma City” ha il suo impatto maggiore è nel ritratto del costo umano. Il documentario giustappone abilmente le motivazioni astratte e alimentate dall’odio degli autori con la sofferenza tangibile e permanente inflitta alle vittime, ai sopravvissuti e alle loro famiglie. Attraverso immagini d’archivio e potenziali nuove interviste, il film dà voce a coloro le cui vite sono cambiate irrevocabilmente. Ascoltiamo storie come quella di Florence Rogers, sopravvissuta miracolosamente su uno stretto cornicione dopo che l’ufficio della cooperativa di credito in cui lavorava, situato al terzo piano, fu distrutto, perdendo otto colleghi con cui aveva lavorato per decenni. Il documentario presenta PJ Allen, il più giovane sopravvissuto all’attentato, che aveva solo 18 mesi e conserva ancora le cicatrici fisiche (gravi ustioni e danni polmonari che influenzano la sua voce e la respirazione), ma che trent’anni dopo è un esempio di resilienza e determinazione. Il dolore delle famiglie è palpabile, come esemplificato da Aren Almon, la cui figlia Baylee, di un anno, divenne un simbolo involontario dell’innocenza perduta attraverso un’iconica e straziante fotografia scattata da un fotografo amatoriale sul luogo. Il pompiere Chris Fields, immortalato in quella foto mentre culla Baylee, rappresenta le migliaia di soccorritori che affrontarono un orrore e un trauma inimmaginabili.
Giustizia, sicurezza e l’eredità della paura
Il documentario esamina le rapide e complesse risposte legali e politiche all’attentato. Il processo federale di Timothy McVeigh fu trasferito a Denver a causa delle preoccupazioni nel trovare una giuria imparziale in Oklahoma. Fu dichiarato colpevole di 11 capi d’accusa, incluso l’omicidio di otto agenti federali, e condannato a morte. McVeigh fu giustiziato tramite iniezione letale l’11 giugno 2001. Terry Nichols affrontò un percorso giudiziario più complesso. Nel suo processo federale separato, fu dichiarato colpevole di cospirazione e di otto capi d’accusa di omicidio colposo per gli agenti federali uccisi. Tuttavia, la giuria federale non raggiunse un verdetto sulla pena di morte, portando a una condanna all’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. Poiché le accuse federali coprivano solo gli otto agenti federali, lo stato dell’Oklahoma processò successivamente Nichols per l’omicidio delle restanti 160 vittime, oltre a un’accusa di omicidio fetale. Nel 2004, una giuria statale lo dichiarò colpevole di tutti i 161 capi d’accusa di omicidio, ma si bloccò nuovamente sulla pena di morte, risultando in un’altra condanna all’ergastolo senza possibilità di libertà condizionale. Questo doppio processo sottolinea la determinazione del sistema legale nel ritenere Nichols responsabile per ogni vita persa, anche se la pena capitale rimase irraggiungibile. Oltre ai processi, l’attentato provocò significativi cambiamenti legislativi e politici. Il Congresso approvò l’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act del 1996 (AEDPA). Sebbene mirasse a dissuadere il terrorismo e a rendere giustizia alle vittime, l’AEDPA restrinse in modo controverso i ricorsi di habeas corpus, inasprì le leggi sull’immigrazione ed estese l’autorità federale sui crimini legati al terrorismo. A seguito di una valutazione della vulnerabilità ordinata dal presidente Clinton, l’Ordine Esecutivo 12977 istituì il Comitato Interagenzia per la Sicurezza (ISC) per creare standard di sicurezza uniformi. Ciò portò all’applicazione diffusa di misure precedentemente poco comuni: barriere di cemento, aumento della distanza tra edifici e strade, miglioramento dei controlli dei visitatori (magnetometri, macchine a raggi X), finestre e progettazione strutturale resistenti alle esplosioni e maggiore sorveglianza.
“American Terror: l’attentato di Oklahoma City” oggi: echi dell’estremismo
Il vero potere di “American Terror: l’attentato di Oklahoma City” risiede nella sua tesi sull’urgente rilevanza contemporanea dell’attentato. Colloca l’attacco del 19 aprile 1995 non solo come un evento storico, ma come un terrificante presagio dell’estremismo antigovernativo, delle teorie cospirative e del potenziale di violenza politica che continuano a turbare gli Stati Uniti. Il film suggerisce che le ideologie che motivarono McVeigh – la profonda sfiducia nell’autorità federale, la percezione di minacce alle libertà e la disponibilità a ricorrere alla violenza – non sono scomparse, ma si sono evolute e hanno trovato nuove piattaforme.
Dove guardare “American Terror: l’attentato di Oklahoma City”