“Steve”: Cillian Murphy nell’occhio del ciclone in un riformatorio al limite del collasso

Un uomo sull'orlo del baratro

Steve
Veronica Loop
Veronica Loop
Veronica Loop è l'amministratore delegato di MCM. È appassionata di arte, cultura e intrattenimento

Nella campagna inglese della metà degli anni ’90 si trova Stanton Wood, un riformatorio per adolescenti che rappresenta l’ultima opportunità per giovani con problemi comportamentali. A capo di questa istituzione c’è Steve, il suo direttore, un uomo consumato da una dedizione assoluta al suo lavoro.

Interpretato da Cillian Murphy, Steve si presenta fin dalla prima scena non come un eroe pedagogico, ma come un individuo sull’orlo del collasso. Quando una troupe di documentaristi gli chiede di descriversi in tre parole, la sua risposta è lapidaria: “molto, molto stanco”. Questa confessione di esaurimento serve da prologo a un dramma intenso che si svolge interamente nel corso di un’unica e caotica giornata.

La narrazione di “Steve” si concentra sulla doppia crisi che assedia il suo protagonista. Da un lato, affronta una disperata battaglia esterna per salvare l’integrità di Stanton Wood da un’imminente chiusura per problemi finanziari e mancanza di sostegno istituzionale. Dall’altro, combatte una guerra interna e silenziosa contro il deterioramento della propria salute mentale, una lotta che minaccia di trascinarlo nello stesso baratro da cui cerca di salvare i suoi studenti. Il film immerge lo spettatore nel vortice di questa giornata decisiva, esplorando la fragilità sia dei giovani emarginati dal sistema sia dell’uomo che ha giurato di proteggerli.

La lotta per Stanton Wood

Il nucleo narrativo di “Steve” si articola attorno alle traiettorie parallele di due personaggi le cui lotte interiori si rispecchiano a vicenda: Steve e uno studente di nome Shy. Stanton Wood non è una scuola convenzionale; è un istituto di ultima istanza per giovani che affrontano complesse sfide sociali e comportamentali, un luogo che il mondo sembra aver dimenticato.

La trama si sviluppa sotto l’immensa pressione di una possibile chiusura definitiva, costringendo Steve a navigare in un campo minato emotivo e burocratico. La sua battaglia personale si manifesta in una dipendenza da alcol o droghe, un meccanismo di sopravvivenza che lo rende vulnerabile quanto i ragazzi di cui è responsabile.

In questo contesto appare Shy, interpretato da Jay Lycurgo, un adolescente problematico intrappolato tra un passato turbolento e un futuro incerto, che lotta con impulsi di violenza e autodistruzione. Isolatosi dalla sua famiglia e vessato dai suoi compagni, Shy incarna la disperazione che impregna l’istituto. La dinamica tra i due personaggi cristallizza la tensione centrale del film. Nel tentativo di connettersi, Steve gli assicura: “Perché non sei solo, Shy”. La risposta del giovane è un’interpellanza diretta che disarma l’educatore: “E tu, Steve? Parliamo di te”. Questo scambio rivela che i confini tra chi si prende cura e chi viene curato sono pericolosamente labili.

La già fragile stabilità di Stanton Wood viene completamente sconvolta dall’arrivo di una troupe cinematografica che intende realizzare un documentario sulla scuola. Lungi dall’essere osservatori passivi, la loro presenza funge da catalizzatore del caos. Le ingombranti telecamere dell’epoca, che giustificano l’ambientazione negli anni ’90, diventano un elemento intrusivo che invade la privacy degli studenti e li incita a recitare per il pubblico. Questa “invasione” minaccia di esporre le crepe del centro ai contribuenti, aggiungendo un ulteriore livello di scrutinio pubblico alla pressione interna. La troupe non si limita a registrare la storia; la altera e la accelera, esternalizzando le pressioni interne dei personaggi e precipitando la crisi. In questo ambiente ad alta tensione, il film affronta in modo crudo e sensibile temi come il bullismo, la violenza, la mancanza di sostegno istituzionale e il suicidio adolescenziale.

Steve
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Dalla carta allo schermo: La metamorfosi di ‘Shy’

La genesi di “Steve” si trova nell’acclamato romanzo breve “Shy”, pubblicato dall’autore Max Porter. Tuttavia, il film non è un adattamento letterale, ma una consapevole reinvenzione dell’opera originale. Il cambiamento più significativo e determinante del progetto risiede in una svolta fondamentale nella prospettiva narrativa.

Il romanzo di Porter è scritto interamente in prima persona, immergendo il lettore nel flusso di coscienza e nell’esperienza soggettiva dell’adolescente Shy. Per la versione cinematografica, è stata presa la decisione di “ribaltare la storia sul suo asse” per raccontarla prevalentemente dal punto di vista del direttore della scuola, Steve. Questa scelta artistica trasforma l’essenza della storia. Spostando il focus dal giovane problematico all’educatore in crisi, la narrazione evolve da una storia sull’angoscia adolescenziale a un profondo esame del fardello psicologico, spesso invisibile, che sopportano gli educatori. Il film non parla più solo dei “ragazzi perduti”, ma anche dell’uomo “perduto” che cerca di salvarli.

Il coinvolgimento di Cillian Murphy nel progetto è stato profondo e personale fin dall’inizio. Amico intimo di Porter, Murphy ha ricevuto una copia del romanzo in bozze, prima ancora della sua pubblicazione, e la sua reazione è stata viscerale. “Mi ha semplicemente spezzato il cuore”, ha dichiarato l’attore, una connessione emotiva che è diventata la pietra angolare per portare la storia sullo schermo.

Anatomia di una collaborazione creativa

“Steve” è il risultato di una rete di relazioni professionali di lunga data, un progetto nato dalla fiducia e dalla visione condivisa tra i suoi tre pilastri creativi: Cillian Murphy, il regista Tim Mielants e lo scrittore Max Porter. Non si tratta di un progetto su commissione di uno studio, ma del prodotto di un ecosistema artistico attentamente coltivato. Il film segna il primo progetto ufficiale di Big Things Films, la casa di produzione fondata da Murphy insieme al suo collaboratore Alan Moloney, il che evidenzia un desiderio di controllo creativo e la ricerca di storie con un significato personale.

La relazione tra Murphy e Mielants si è forgiata in lavori precedenti come il film “Small Things Like These” e la serie “Peaky Blinders”. Il loro metodo di lavoro si basa sulla sfida reciproca. “Cerchiamo di spingerci a vicenda. Ci piace percorrere le strade che fanno paura, prendere decisioni audaci”, afferma Mielants. A sua volta, il legame di Mielants con la storia è profondamente personale; lui stesso si descrive come un “caso disperato” in gioventù a causa della dislessia e attribuisce la sua salvezza a insegnanti che si sono rifiutati di rinunciare a lui. Per il regista, il film è “una lettera d’amore” a quegli educatori.

Parallelamente, la collaborazione di Murphy con Max Porter si estende oltre questo film. Questo processo, che ha operato all’interno di una cerchia ristretta di partner di fiducia, suggerisce una strategia deliberata da parte di Murphy per costruire un modello sostenibile di creazione artistica. Piuttosto che agire come un “attore a noleggio”, si posiziona come un architetto creativo, usando la sua influenza per dare vita a progetti che altrimenti non troverebbero spazio nel sistema tradizionale degli studi.

Cillian Murphy: Ritratto di un educatore distrutto

L’interpretazione di Cillian Murphy si addentra nella complessa psiche di un uomo che è, secondo le sue stesse parole, “intensamente umano”. Lontano da qualsiasi archetipo eroico, Murphy costruisce Steve come un personaggio pieno di difetti e contraddizioni, qualcuno che “sta solo lottando” e “cercando di arrivare a fine giornata”.

L’attore esplora il paradosso di un educatore che, a causa della propria fragilità, forse non dovrebbe essere responsabile di giovani vulnerabili. “Non so se si possano aggiustare le altre persone prima di essersi presi cura di se stessi”, riflette Murphy sul suo personaggio, incapsulando il dilemma centrale del film. Steve è un uomo che antepone i bisogni degli altri ai propri, una qualità nobile che nel suo caso diventa un percorso verso l’autodistruzione. La sua vulnerabilità è tale che, secondo lo stesso attore, “probabilmente non dovrebbe supervisionare un gruppo di ragazzi fragili e vulnerabili, perché lui stesso è molto fragile e vulnerabile”.

Questa visione del personaggio si nutre di una connessione personale molto profonda per Murphy, la cui famiglia è radicata nel mondo dell’istruzione: i suoi genitori erano insegnanti, suo nonno era preside e quasi tutti i suoi zii e zie sono docenti. La costruzione del personaggio ha comportato anche un notevole sforzo fisico per comunicare il logoramento che il lavoro infligge al corpo di Steve, una sfida che Murphy riconosce.

Cast e personaggi

Sebbene il film porti il nome del suo protagonista, la storia è arricchita da un solido cast di supporto che dà vita alla comunità di Stanton Wood. Jay Lycurgo, nel ruolo di Shy, emerge come una forza co-protagonista. La sua interpretazione della fragile salute mentale dell’adolescente è stata descritta come di una “onestà dolorosa e cruda”.

Il personale della scuola è rappresentato da un gruppo di attrici di grande esperienza che apportano diverse sfumature alla dinamica istituzionale. Tracey Ullman interpreta Amanda, il braccio destro schietto e diretto di Steve. Emily Watson dà vita a Jenny, una paziente terapeuta o consulente scolastica. E Simbi Ajikawo, meglio conosciuta come la rapper Little Simz, interpreta Shola, una nuova insegnante che si scontra con la dura realtà del centro.

Il corpo studentesco è stato formato attraverso un approccio che cercava il massimo realismo, combinando giovani attori con altri che non avevano precedenti esperienze di recitazione. Cillian Murphy descrive come questo gruppo di giovani abbia sviluppato un’autentica chimica sul set, diventando una vera e propria “banda”. Questa miscela di talento professionale e nuove voci rafforza il carattere crudo e veritiero di una storia che cerca di risuonare con la vulnerabilità dei suoi personaggi.

“Steve” debutta in tutto il mondo su Netflix il 3 ottobre.

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