Era già successo con Aitana, con Karol G e persino con Robin Williams, solo per citare alcuni cantanti famosi. E si sa, quando c’è di mezzo Netflix, abbiamo visto che anche Michael Jordan o Messi concedono interviste. Questa volta è toccato all’artista argentino DUKI che, senza dubbio, vedrà la sua figura rafforzata e diventerà ancora più famoso grazie alla piattaforma di streaming alla quale quasi nessuno sa resistere (staremo a vedere cosa succederà con Christopher Nolan).
Realizzato in Argentina, Duki: dall’Argentina al mondo si concentra sulla vita e la carriera di Mauro Ezequiel Lombardo, conosciuto artisticamente come Duki, uno dei musicisti più rappresentativi della sua generazione. Come è consuetudine in questi documentari di Netflix, il film conterà sulla piena collaborazione dell’artista per mostrarsi nel suo lato più intimo. Insomma, un vero regalo per i fan.
Il documentario cattura il suo protagonista in un “momento cruciale della sua carriera e della sua identità artistica”. La narrazione si ancora al presente, mostrando un Mauro Lombardo in piena trasformazione, che affronta i suoi “demoni interiori” per poter portare avanti il progetto DUKI e il movimento che rappresenta. Questa tensione contemporanea fornisce un motore narrativo che spinge l’esplorazione del suo passato e del suo futuro. L’artista stesso ha sottolineato l’importanza di questo progetto nel suo percorso.
Da Mauro a DUKI: la dualità di un’icona
Il nucleo narrativo e psicologico di Duki: dall’Argentina al mondo risiede nell’esplorazione di una dualità fondamentale: la tensione tra Mauro Lombardo, l’individuo, e DUKI, la superstar. Il documentario è strutturato attorno a una domanda centrale che la sinossi stessa pone in modo esplicito: “In definitiva, chi è Mauro e chi è DUKI?”. Questa domanda trasforma il film in un’indagine sull’identità, sul costo della fama e sulla costruzione di un personaggio pubblico.
Lungi dall’essere un semplice profilo di una celebrità, il film si addentra nella psiche del suo soggetto per svelare il conflitto che definisce la sua esistenza. Il film promette un ritratto “intimo e senza filtri”, mostrando Mauro “in pieno cambio di pelle” mentre affronta le sue lotte interne e i “demoni che lo accompagnano”. Il racconto si basa su immagini inedite, archivi personali e un accesso esclusivo a momenti dietro le quinte per esplorare la sua infanzia, le sue insicurezze e le sfide che ha affrontato nella sua vertiginosa ascesa.
Si scopre che dietro il volto tatuato e la travolgente sicurezza scenica si nasconde un “ragazzo sensibile e – come lui stesso si definisce – insicuro”. Questa vulnerabilità è la chiave per comprendere la complessità del personaggio. Questo turbine di fama precoce ha avuto manifestazioni caotiche, come il periodo della villa in via Antezana, uno spazio di creazione ed eccessi dal quale i suoi stessi genitori hanno dovuto salvarlo, evidenziando la fragilità di Mauro sotto il peso di Duki. L’immagine di Duki che si tatua un angelo e un demone sul viso diventa una manifestazione fisica e permanente di questa battaglia interiore, un tema che il documentario sembra intenzionato a esplorare a fondo.
Le origini: dal Parque Rivadavia agli stadi del mondo
Il documentario traccia una linea diretta dalle umili origini del movimento alla sua consacrazione sui più grandi palcoscenici del mondo. La narrazione storica si ancora in un luogo e in un momento fondativo: “El Quinto Escalón”, la competizione di freestyle che si teneva nel Parque Rivadavia di Buenos Aires. Questo spazio viene presentato non solo come un punto di partenza, ma come la “culla di una generazione storica di artisti” che avrebbe definito il sound urban di una nazione. Fu su quei cinque gradini di una scala del parco che un giovane Mauro Lombardo iniziò a forgiare la sua leggenda, guadagnando notorietà per il suo flow e la sua potente presenza scenica, e costruendo la sua prima base di fan.
Il film documenta il momento cruciale della sua transizione da concorrente ad artista discografico. Nel 2016, dopo essersi proclamato campione in una delle date della competizione, il premio fu una sessione in studio che diede vita al suo primo singolo, “No Vendo Trap”. Il successo fu immediato ed esplosivo: il video accumulò due milioni di visualizzazioni su YouTube in appena due settimane, una cifra sbalorditiva per un artista senza il supporto di un’etichetta discografica. Tuttavia, questo primo trionfo fu accompagnato dal suo primo scontro con l’industria, quando il video fu rimosso per una rivendicazione di diritti d’autore sul beat, evidenziando che Mauro era ancora un “rapper di piazza” che operava al di fuori delle strutture formali. Questo episodio iniziale sottolinea un tema centrale della sua carriera: quella di un artista che emerge dalla base, utilizzando gli strumenti digitali per eludere i guardiani tradizionali dell’industria.
Da lì, il documentario narra un’ascesa fulminea. Copre la formazione dell’influente collettivo #ModoDiablo e il suo consolidamento con album chiave come Súper Sangre Joven e Desde el fin del mundo, e le sue collaborazioni con figure internazionali del calibro di Bad Bunny, che hanno cementato il suo status globale. Il culmine di questo viaggio è rappresentato dai suoi concerti oceanici negli stadi, tappe che segnano non solo il suo successo personale ma quello di un intero movimento. Riempire quattro stadi di Vélez, e successivamente gli emblematici stadi di River Plate a Buenos Aires e il Santiago Bernabéu a Madrid, sono i simboli visivi dell’apice della sua carriera, la prova definitiva di quanto lontano sia arrivato il “ragazzino come tanti” che ha iniziato improvvisando in un parco.
La traiettoria di Duki, così come la presenterà il documentario, è anche una cronaca implicita della democratizzazione della produzione e distribuzione musicale. La sua carriera è un caso di studio di come una generazione di artisti abbia utilizzato piattaforme come YouTube per costruire un pubblico di massa in modo diretto, rendendo le strutture tradizionali dell’industria, in gran parte, irrilevanti. La viralità di El Quinto Escalón fu un fenomeno nativo digitale. Come si sente in una voce fuori campo nel trailer: “Quello che ha fatto la trap è stato cambiare tutto. Perché un tizio da casa sua faceva clic e basta”. Il documentario non racconta solo la storia di Duki; racconta la storia di una rivoluzione tecnologica e culturale che ha permesso al talento emerso dalle piazze di raggiungere, con un solo clic, il mondo intero.
Dietro la macchina da presa: la visione di un team consacrato
La regia è affidata ad Alejandro Hartmann, un cineasta con una solida carriera nel genere documentaristico e un rapporto consolidato con Netflix. Hartmann è noto per il suo lavoro in produzioni acclamate come la serie documentaria Carmel: Omicidio a circuito chiuso e il film Il fotografo e il postino: L’omicidio di Cabezas, entrambi distribuiti dalla piattaforma. La sua esperienza nel documentario d’inchiesta e nel true crime suggerisce un approccio che cercherà di approfondire le complessità e le contraddizioni del personaggio, piuttosto che limitarsi a una celebrazione superficiale. La sua filmografia è caratterizzata da una metodologia quasi forense, svelando misteri ed esponendo verità nascoste. Applicando questa lente alla vita di Duki, il cui arco narrativo è presentato attorno alla domanda “Chi è Mauro e chi è DUKI?”, è probabile che il documentario adotti un tono analitico.
La produzione è una collaborazione tra diverse aziende di peso nell’industria argentina: SSJ, DALE PLAY e PEGSA, il che indica un investimento significativo e una forte fiducia nel potenziale commerciale e culturale del progetto. La partecipazione di DALE PLAY, la società di management e l’etichetta discografica di Duki, garantisce un livello di accesso e fiducia senza precedenti. Il team è completato da un gruppo di professionisti di primo livello, che sottolinea l’alta qualità della produzione.
Un movimento “dalla fine del mondo”
Il titolo del documentario, che allude al suo acclamato album del 2021 Desde el fin del mundo, opera su più livelli simbolici che racchiudono l’essenza del movimento che Duki guida. In primo luogo, allude alla posizione geografica dell’Argentina, patria della città più australe del pianeta, una terra spesso percepita come la “fine del mondo”. Ma la connotazione più profonda è culturale: rappresenta l’emergere di un fenomeno dalla periferia globale, un movimento nato ai margini che è riuscito a spostare il centro di gravità della musica urban in lingua spagnola.
Culturalmente, l’Argentina è stata descritta come una terra di “crolli fragorosi e rinascite mistiche”, e l’ascesa della trap può essere vista come una di queste rinascite, una nuova voce che emerge con forza da un luogo inaspettato. Il documentario posiziona Duki non come una figura isolata, ma come un “riferimento che personifica lo spirito di un fenomeno collettivo”. La sua storia personale diventa la metonimia di un’intera generazione di giovani che, sentendosi orfani di generi tradizionali come il rock o la cumbia, hanno trovato nella trap una voce propria e autentica per rappresentare le loro realtà. Il film è, quindi, il ritratto di un artista che si è assunto la responsabilità di portare “sulle spalle il trap argentino”.
Questo racconto si inserisce in un contesto più ampio: l’esplosione della musica urban argentina come prodotto di esportazione culturale di primo livello. Duki, insieme a contemporanei come Bizarrap, Nicki Nicole e María Becerra, fa parte di un’avanguardia che ha conquistato i palcoscenici d’Europa e degli Stati Uniti, rendendo l’accento argentino una presenza costante nelle classifiche mondiali. A differenza delle generazioni precedenti di musicisti argentini che si esibivano principalmente per un pubblico di espatriati nostalgici, questa nuova leva sta definendo il sound mainstream globale. Il documentario è, allo stesso tempo, una cronaca di questa conquista e un suo prodotto, progettato per cementare questa nuova posizione di potere sulla mappa culturale.
Sebbene non partecipino direttamente alla produzione del film, è impossibile comprendere questo fenomeno senza il lavoro di case di produzione come Anestesia Audiovisual, diretta da Facundo Ballve, “l’occhio della trap”, che attraverso innumerevoli videoclip per Duki e i suoi colleghi, hanno costruito l’identità visiva che definisce l’intera scena. Il loro lavoro su video seminali come “Loca” è stato fondamentale per cementare l’estetica del movimento fin dai suoi inizi.
Questa ascesa sfida l’egemonia storica delle industrie musicali nordamericane ed europee, dimostrando che la creatività più vibrante e dirompente può emergere da qualsiasi luogo. Il documentario narra una ribellione culturale di successo dai margini, la storia di come un gruppo di giovani “dalla fine del mondo” sia riuscito a far ascoltare a tutto il mondo ciò che avevano da dire.
Informazioni sull’uscita
Il lungometraggio documentario, Duki: dall’Argentina al mondo, sarà presentato in anteprima esclusiva sul servizio di streaming Netflix a partire dal 2 ottobre 2025.