Un nuovo documentario offre un ritratto intimo e moderno della fratellanza e della comunità nera attraverso un accesso senza precedenti a una delle istituzioni culturali più emblematiche di New Orleans. Il film, intitolato “A King Like Me: lo Zulu Club di New Orleans”, segue i membri dello Zulu Social Aid & Pleasure Club, la prima e più storica “krewe” (confraternita carnevalesca) nera del Mardi Gras, mentre affrontano un’epoca di profonde avversità. Con una durata di circa 90 minuti, il documentario incentra la sua narrazione sugli sforzi determinati del club per riportare la sua iconica parata per le strade in occasione del Mardi Gras 2022. Sebbene la storia sia profondamente radicata nel tessuto culturale di New Orleans, la sua esplorazione di come una comunità preservi tradizione, identità e gioia di fronte a ostacoli schiaccianti racconta una storia universale di resilienza. Il film utilizza l’obiettivo di una singola parata come veicolo per esplorare temi molto più ampi, trasformando una vicenda iper-locale in un dramma umano di portata universale.
Una comunità messa alla prova da crisi concatenate
Il documentario descrive meticolosamente la serie di crisi che hanno minacciato non solo la parata Zulu del 2022, ma l’essenza stessa del club. La narrazione si svolge sullo sfondo di una pandemia globale che ha colpito in modo sproporzionato la comunità nera di New Orleans, evidenziando le disuguaglianze sistemiche del sistema sanitario. Lo Zulu Club, una fratellanza di oltre 800 uomini, ha pagato un prezzo altissimo: sedici membri sono deceduti dopo che più di settanta avevano contratto il virus COVID-19. A questa crisi sanitaria si sono aggiunte la devastazione dell’uragano Ida e la persistente tragedia della violenza armata, che ha mietuto vittime anche tra i membri del club. Il film collega queste sfide contemporanee alle prove passate del club, tra cui l’allagamento della loro sede durante l’uragano Katrina, inquadrando la lotta per sfilare nel 2022 come l’ultimo capitolo di una saga di perseveranza lunga un secolo. Attraverso la potente testimonianza di membri come Terrence Rice, il film va oltre la celebrazione culturale per porre domande taglienti sul sogno americano. Il suo commento commosso sulla lotta per fare tutto nel modo giusto solo per essere “calpestati ogni giorno della propria vita” eleva la questione centrale del film: non più se la parata si farà, ma perché questa comunità debba costantemente lottare così duramente semplicemente per esistere e provare gioia. Il documentario, che include avvertenze per contenuti di razzismo, classismo e morte, ritrae infine una comunità che, anche nei suoi momenti più bui, si aggrappa al suo ethos di “lasciar scorrere i bei tempi”.
Le origini di un club di mutuo soccorso e svago
Per comprendere la resilienza del club, il film si addentra nelle sue origini, risalendo al 1909. Iniziò come un gruppo di marcia di operai noto come “The Tramps” (I Vagabondi), che sfilava con un’irriverenza disinvolta. Il primo re, William Story, indossava una corona ricavata da un barattolo di lardo e portava un fusto di banano come scettro. Un momento cruciale si verificò quando i membri assistettero a uno sketch di vaudeville intitolato “There Never Was and Never Will Be a King Like Me” (Non c’è mai stato e non ci sarà mai un re come me). Ispirato dal tema africano della performance, il gruppo adottò il nome “Zulu”. Nel 1916, l’organizzazione si costituì formalmente come Zulu Social Aid & Pleasure Club. Questo nome era una dichiarazione d’intenti. Il club era modellato sulle associazioni di mutuo soccorso afroamericane, essenziali per la sopravvivenza nel XIX e all’inizio del XX secolo, che fornivano ai membri servizi cruciali come i costi funerari e l’assistenza finanziaria quando tale supporto era negato dalle istituzioni tradizionali. Le prime parate erano sponsorizzate da aziende di proprietà di neri, in particolare le pompe funebri Gertrude Geddes Willis. Questo scopo fondante — prima società di mutuo soccorso e poi confraternita carnevalesca — viene presentato come la chiave della longevità del club e della sua radicata autorità all’interno della comunità di New Orleans.
Un’eredità forgiata nella tradizione e nella controversia
Il documentario analizza attentamente le tradizioni più iconiche e complesse del club, rivelandole come frutto della necessità economica e delle politiche razziali dell’epoca. Il film affronta l’uso controverso del trucco “blackface”, spiegandone l’origine negli spettacoli di vaudeville, dove era una pratica comune sia per gli artisti bianchi che per quelli neri. Fu anche una soluzione pratica per i primi membri che non potevano permettersi le elaborate maschere indossate da altre “krewe”. Il documentario presenta l’interpretazione moderna di questa pratica come un atto di riappropriazione e di autoaffermazione, un modo per deridere il razzismo che un tempo simboleggiava. Allo stesso modo, la tradizione di lanciare noci di cocco decorate iniziò perché la “krewe” non poteva permettersi le costose perline di vetro delle “krewe” bianche più ricche. I membri, molti dei quali lavoravano nei mercati del Quartiere Francese, potevano procurarsi noci di cocco — e, inizialmente, noci ancora più economiche — a basso costo. Queste tradizioni, nate dalla necessità, sono diventate simboli indelebili dell’identità del club. Il film descrive anche l’evoluzione dei personaggi della parata — tra cui il Re, lo Stregone e Mr. Big Stuff — e i suoi ruoli di genere. Dal 1923 al 1933, i membri maschi si mascheravano da regina Zulu, ma nel 1948, Zulu divenne la prima “krewe” a presentare una regina che sfilava sul proprio carro.
Da paria a pilastro della comunità
Il film narra lo straordinario percorso del club attraverso il XX secolo. Un momento di grande riconoscimento arrivò quando la leggenda del jazz Louis “Satchmo” Armstrong, che lo considerò uno dei suoi più grandi onori, regnò come Re Zulu nel 1949. Tuttavia, durante il movimento per i diritti civili degli anni ’60, il club affrontò una profonda crisi. Le sue tradizioni, in particolare il “blackface”, furono criticate da molti nella comunità nera come umilianti. Di fronte agli appelli al boicottaggio, il numero di membri si ridusse a soli sedici. Una svolta importante arrivò nel 1969, quando la città concesse a Zulu il permesso di sfilare su Canal Street, la grande arteria storicamente riservata alle “krewe” bianche, una vittoria significativa per i diritti civili. Questa evoluzione è potentemente simboleggiata dalla storia di Ernest “Dutch” Morial. Come leader della NAACP, Morial aveva sostenuto i boicottaggi; anni dopo, come primo sindaco nero di New Orleans, divenne un “membro orgoglioso e attivo” del club. Nei decenni successivi, Zulu rivitalizzò la sua missione di “aiuto sociale”, organizzando raccolte fondi per la ricerca sull’anemia falciforme, sfamando i bisognosi e istituendo programmi per i giovani e un coro gospel, consolidando il suo status di pilastro della comunità.
La visione dietro la macchina da presa
“A King Like Me: lo Zulu Club di New Orleans” è l’esordio alla regia di Matthew O. Henderson, un newyorkese con oltre quindici anni di esperienza come produttore e operatore di macchina. La sua filosofia cinematografica dichiarata è “raccontare la storia che trovi, non quella che ti aspetti di trovare”, un approccio che conferisce al film uno stile osservativo, da cinéma vérité. Questa prospettiva intima è bilanciata dal coinvolgimento di un team di produttori che include Fisher Stevens, un documentarista premio Oscar noto per il suo lavoro sull’attivismo politico e ambientale. Il progetto è sostenuto da un consorzio di case di produzione, tra cui HartBeat Productions, Impact Partners e la Gusto Moving Pictures, con sede a New Orleans, che ha fornito i servizi di produzione locali. Dopo la sua prima mondiale al SXSW Film Festival, il documentario è stato celebrato come selezione ufficiale in altri importanti festival, tra cui il New Orleans Film Festival, segnalando la sua importanza nel panorama documentaristico.
Il film si pone infine come un documento culturale vitale, un atto di conservazione storica che codifica le complesse tradizioni e le storie orali dello Zulu Social Aid & Pleasure Club per una nuova generazione. Intrecciando il ricco passato del club con il suo presente urgente, “A King Like Me: lo Zulu Club di New Orleans” racconta una storia che è allo stesso tempo unica di New Orleans e universale nei suoi potenti temi di comunità, storia e l’indomita perseveranza dello spirito umano.
Il documentario debutta su Netflix il 19 giugno.